Il Tribunale per i minorenni di Catania ha condannato a quattro anni e otto mesi di reclusione uno dei sette egiziani accusati di violenza sessuale di gruppo commessa, il 30 gennaio scorso, nei bagni pubblici della Villa Bellini nei confronti di una tredicenne davanti al suo ragazzo diciassettenne.
L’accusa, con la procuratrice per i minorenni Carla Santocono e il sostituto Orazio Longo, aveva chiesto la sua condanna a dieci anni. Il legale dell’imputato, l’avvocato Gian Marco Gulizia, ha annunciato ricorso contro la sentenza, che sarà presentato dopo il deposito delle motivazioni previsto entro i prossimi 90 giorni. Un altro minorenne è imputato per la violenza sessuale di gruppo, ma col rito abbreviato e il procedimento davanti al gup non è stato ancora trattato.
Quella emessa dal Tribunale per i minorenni di Catania, presieduto da Rosalia Montineri, è la seconda sentenza che riguarda l’accusa di violenza di gruppo commessa sulla tredicenne alla Villa Bellini.
Il 25 ottobre scorso il gup Giuseppina Montuori ha condannato un maggiorenne, processato col rito abbreviato, a 12 anni e 8 mesi di reclusione, a fronte dei 14 anni sollecitati dal procuratore aggiunto Sebastiano Ardita e dal sostituto Anna Trinchillo. Altri quattro egiziani maggiorenni sono imputati col rito ordinario, per lo stesso reato, davanti alla seconda sezione del Tribunale penale di Catania, presieduta da Santino Mirabella. Tutti i procedimenti sono celebrati a porte chiuse.
Determinanti nelle due inchieste, che si sono avvalse delle indagini dei carabinieri del comando provinciale di Catania, sono state le dichiarazioni della 13enne e del suo fidanzato che hanno denunciato la violenza e poi riconosciuto gli aggressori. Le loro testimonianze sono state acquisite durante un incidente probatorio che si è svolto davanti ai due gip, distrettuale e per i minorenni, che è stato acquisito agli atti dei due procedimenti. Nell’ordinanza cautelare emessa nei confronti dei cinque imputati maggiorenni il gip Carlo Umberto Cannella aveva parlato di «un’azione che non può che suscitare orrore» e che «ha avuto fine solo grazie al tentativo della ragazza di liberarsi». Per il giudice era «indicativo della personalità» degli indagati il fatto che bloccano il fidanzato 17enne della vittima "agevolando e consentendo ad altre persone di violentare una ragazzina di appena 13 anni senza un minimo rimorso, anzi in alcuni casi assistendo alla scena»
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