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Niente primarie per il Pd per eleggere il segretario regionale in Sicilia, tensione al congresso di Palermo

In un clima molto teso, l’assemblea regionale del Pd siciliano, riunita all’Hotel Astoria di Palermo, ha approvato il regolamento per il Congresso che porterà all’elezione del nuovo segretario regionale del partito. Hanno votato – a favore in 169, 4 i contrari e 4 gli astenuti – soltanto coloro i quali hanno accettato la linea ufficiale dettata dall’uscente Anthony Barbagallo, sostenuto dal responsabile nazionale organizzativo, Igor Taruffi, inviato da Elly Schlein in Sicilia. I dissidenti hanno urlato “Vergognati” proprio all’indirizzo di Taruffi, il quale ha ratificato il voto: «Con questi numeri, il regolamento risulta approvato». E, dunque, cade definitivamente l’ipotesi del ricorso ai gazebo per le primarie, che non si faranno più. Il segretario sarà eletto solo dai tesserati del Pd.
Gli ultimi tentativi di arrivare a un accordo sul congresso regionale sono naufragati ben prima che l’assemblea del Pd avesse inizio. Riunito con l’ala dei dissidenti, Taruffi ha comunicato che per la commissione di garanzia la proposta di rinunciare alle primarie per dare il voto solo agli iscritti è in linea con lo statuto del partito. E questo è stato messo ai voti.
È, quello arrivato da Roma, un no esplicito ai tentativi che le correnti Bonaccini e Orfini hanno fatto fino all’ultimo per tentare di far eleggere il nuovo segretario dando la parola anche ai non tesserati. Ribaltando un orientamento che finora ha visto una netta prevalenza dell’area Schlein, alla quale si iscrive il segretario uscente (e ricandidato) Anthony Barbagallo, nella fase di tesseramento.
Con questa premessa è stato poi proprio Barbagallo a chiudere ogni trattativa sulle regole congressuali con un discorso di rottura che ha acceso gli animi in platea: «Una parte del gruppo parlamentare ha alimentato le polemiche indebolendo il partito. Si è preferito attaccare i compagni e invece poi si è scelto di essere proni con chi governa». È un altro riferimento al dialogo che buona parte del gruppo all’Ars ha portato avanti col governo Schifani durante i lavori della Finanziaria malgrado Schlein avesse chiesto una linea di opposizione dura.
Barbagallo ha calcato la mano su questo aspetto: «L’avversario del Pd è dall’altra parte. Abbiamo la responsabilità di fare uscire il Pd dalla palude per lanciare la sfida alla Destra». E così è di nuovo emersa in modo evidente una spaccatura che vede da un lato la la base del partito e i circoli con la segreteria regionale e dall’altro gran parte del gruppo parlamentare che si riconosce nelle posizioni di Bonaccini e Orfini.
Prima che si arrivasse al voto sulle primarie o meno, tutti i big dell’ala dissidente hanno esplicitamente offerto a Taruffi una linea di nuova collaborazione a patto che da Roma si togliesse il sostegno al segretario uscente. Giovanni Burtone ha ricordato che quando il Pd ha introdotto le primarie, ai tempi di Prodi, Barbagallo era nell’Mpa col centrodestra». Discutere di un nuovo candidato è la richiesta che ha avanzato anche Fabio Venezia, tra l’altro indicato fra i papabili dell’area Bonaccini. E lo stesso ha fatto, in estrema sintesi, anche il capogruppo all’Ars Michele Cantanzaro. Che prima ha difeso l’azione dei deputati all’Ars «da una rappresentazione volgare che è stata fatta finora». Catanzaro ha poi ricordato che sotto la gestione Barbagallo «il Pd è cresciuto grazie alla Schlein in tutta Italia tranne che in Sicilia». Infine il capogruppo all’Ars si è augurato, rivolto direttamente a Taruffi, che «ci siano le condizioni affinché un minuto dopo la chiusura della fase congressuale il nostro partito possa riprendere un percorso unitario. Dovessero mantenersi le attuali condizioni sarebbe però difficile». Un concetto reso ancora più esplicito da Antonio Rubini, leader dell’area Orfini: «Il Pd è devastato. Se andrete avanti da soli sul congresso, avrete preso una strada di non ritorno».
In realtà, la presenza di Taruffi a Palermo è un segnale del sostegno romano a Barbagallo. Anche se l’ex ministro Beppe Provenzano ha provato a raccogliere l’invito al dialogo dopo lo scontro sulle regole congressuali immaginando un percorso in due tempi: «Dobbiamo superare questa fase del finto unitarismo, che ci sta portando verso l’immobilismo. Andiamo oltre la questione delle regole sul voto al congresso. Delle candidature si discuterà dopo».
In questo clima, a notte fonda, l’assemblea del Pd è stata chiamata a decidere se far eleggere il prossimo segretario ai soli tesserati o nei gazebo con le primarie aperte. La votazione è andata in scena non prima di un ulteriore scontro sulle procedure. Il quorum richiesto per approvare la proposta di Barbagallo (voto ai tesserati) era sulla carta molto alto: 161 membri dell’assemblea. E Fabio Venezia si era spinto a pronosticare che questa vetta non sarebbe stata raggiunta. Ma la segreteria regionale ha rivisto gli elenchi degli aventi diritto, cancellando i nomi di chi ha cambiato partito o ha altre cause che gli impediscono di esprimersi. Il quorum si è abbassato.

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