
Un «clima intimidatorio» non solo costruito dalla mafia, «ma anche dalla politica, con un nuovo apparato normativo che rende più difficile fare il giornalista e aumenta la condizione di rischio in cui si lavora»: è l’allarme lanciato dai giornalisti ascoltati nella seduta della Commissione regionale antimafia, riunita nella sede dell’Ordine dei giornalisti di Sicilia, a Palermo, alla presenza di numerosi cronisti.
«Resta una notizia strana e insopportabile - ha detto il giornalista del quotidiano La Repubblica, Salvo Palazzolo, scortato dopo le sue inchieste sul ritorno dei boss scarcerati - quella di un giornalista scortato per minacce della mafia, conseguenza anche di una sovraesposizione dei cronisti che si trovano a raccontare in una situazione di grande difficoltà determinata da limiti e divieti imposti dalle nuove norme». Neppure le conferenze stampa si possono fare, mentre «serve un doppio binario - ha proposto - capendo che sui fatti di mafia è necessario che le procure tornino a comunicare, perchè i boss fanno comunicazione, attraverso i neomelodici, a esempio, e altri canali, per fare passare il messaggio che non è più la mafia delle stragi, ma quella buona dei favori e della soluzione dei problemi». Anche da questa seduta occorre rilanciare, ha proseguito, la necessità di «una banca dati sui boss delle mafie scarcerati, devono essere monitorati in tempo reale. Occorre aprire un dibattito in questo Paese che pare anestetizzato su quanto sta accadendo». «La mafia realizza la sua campagna di comunicazione - ribadisce Roberto Leone di Assostampa Sicilia - mentre a noi vengono posti mille problemi e mille divieti».
Le parole del direttore di Gazzetta del Sud Rizzo Nervo
Anche Nino Rizzo Nervo ha parlato di «clima intimidatorio» nei confronti dei giornalisti da parte delle mafie, certo, ma anche da parte della politica. Un clima che, «non fa bene neppure alla politica», ma per il direttore della Gazzetta del Sud, è un fatto che l’attuale «apparato normativo renda sempre più difficile questo mestiere e il messaggio è 'meno scrivete, meglio e», e chi scrive lo fa a dispetto di tutti». Un clima di «intimidazione politica mai vista, con pressioni anche sulle piccole cose». Hanno fatto cenno alle querele temerarie il direttore del Giornale di Sicilia, Marco Romano, e il direttore di La Sicilia, Antonello Piraneo, per sottolineare proprio il ruolo della politica nell’attuale condizione di difficoltà, «perchè quelle querele - hanno affermato rivolti ai componenti della commissione, che sono deputati e quindi politici - non provengono certo dalla mafia, ma dalla politica chiamata anch’essa ad assumere un impegno concreto». Felice Cavallaro del Corriere della Sera ha esordito affermando che «non tutti i giornalisti e non tutti i giornali fanno fino in fondo il loro lavoro ed è scattato un riflesso per cui 'non ne possiamo più di mafià... è questa sovraesposizione di alcuni colleghi il problema. La nostra categoria si scuota e faccia la propria parte, ma serve una maggiore attenzione e un cambiamento di rotta da parte di tutti, a ogni livello».
«Una cosa è il conflitto tra poteri, altro è il bavaglio e a volte si vuole utilizzare il conflitto per mettere il bavaglio», ha avvertito il presidente della Commissione, Antonello Cracolici, che ha annunciato una risoluzione «che offriremo alle procure e alle prefetture, per aiutare il sistema informativo a porre con forza la centralità della lotta alla mafia, trovando l’attenzione che merita».
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