
E rano in quattro. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Giuseppe Di Lello e Leonardo Guarnotta. Poi c’era Antonino Caponnetto, il capo che li proteggeva da tutti. Il pool antimafia che ha sconfitto Cosa nostra. La vera rivoluzione giuridica e civile.
«Ma lei lo sa quanti anni ho adesso... ne ho fatti 84», sospira Peppino Di Lello dall’altro capo del filo, eppure accetta per l’ennesima volta di raccontare quella Palermo mafiosa che ha vissuto blindato e nascosto, sigarette e macchina da scrivere e mandati di cattura.
Quando tutto è finito e aveva cambiato strada con l’impegno politico vero ha scritto anche un libro strepitoso, il titolo ovviamente è “Giudici”, in cui rivolta l’anima non dando nulla ma proprio nulla di scontato.
Dottor Di Lello, lei ha vissuto una stagione fondamentale e tragica per il nostro Paese come componente del pool antimafia insieme a Giovanni Falcone. A distanza di così tanto tempo, lei rimane sempre appartato nel corso di queste commemorazioni. Le chiedo, hanno ancora senso nel nostro Paese secondo lei o non più?
«Guardi, io sono alcuni anni che non vado a commemorazioni. Anche perché troppi personaggi che non c’entrano niente e sono i primi a commemorare. Però devo dire che queste manifestazioni, quando ci sono studenti, sono utili perché riescono a coinvolgere decine e decine, anzi centinaia di studenti, che vengono da tutta Italia, quindi secondo me questa parte delle commemorazioni è utile. Le altre invece sono un po’ ... diciamo... ognuno adesso sale sul carro del vincitore e quindi non mi interessano più».
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