
Al servizio di Report che ricordava la sua parentela col vecchio capomafia di Borgetto Domenico Albano, morto in carcere, Nuccia Albano, assessore alla Famiglia in Sicilia in quota Dc di Totò Cuffaro, rispose: «Non posso rinnegare mio padre».
Oggi il medico-legale prestato alla politica torna nella bufera per l’incarico ricevuto dalla difesa di Alfonso Tumbarello, il dottore che, secondo la Procura che ne ha chiesto la condanna a 18 anni di carcere, avrebbe avuto in cura per anni Matteo Messina Denaro. Albano è stata scelta come consulente dai legali dell’imputato, sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa e falso ideologico. In serata, però l’assessora ci ha ripensato. «Negli anni in cui ho lavorato presso l’istituto di medina legale al Policlinico ho conosciuto il dottore Tumbarello, specializzando in medicina legale.
Il figlio, che è medico, nei giorni scorsi mi ha chiesto di volersi avvalere della mia consulenza e per una questione di colleganza avevo accettato ma, vista l’enfatizzazione della vicenda ho rinunciato». «Inimmaginabile che non l’avesse fatto», ha commentato il presidente della Regione siciliana, Renato Schifani. Il caso nasce dalla decisione del tribunale di Marsala, che celebra il dibattimento, di disporre una perizia su un certificato medico rilasciato il 7 luglio del 2021 da Tumbarello ad Andrea Bonafede, il geometra di Campobello di Mazara che, si scoprirà poi, ha prestato l’identità a Matteo Messina Denaro. Nel documento si dichiarava testualmente che Bonafede «sulla base dell’esame clinico e della raccolta anamnesica» non presentava «condizioni, segni clinici o sintomi che potessero controindicare la frequenza di impianti sportivi». Ma, ha accertato la Procura, nello stesso giorno, Tumbarello ha compilato una scheda di accesso in ospedale sempre a nome di Andrea Bonafede (stavolta però, secondo i pm, quello falso , cioè Messina Denaro) per una diagnosi di cancro al colon. Da un lato dunque il paziente era sano, dall’altro aveva una grave malattia. Un’anomalia che, secondo l’accusa, proverebbe che il medico era ben consapevole che di Andrea Bonafede ce ne erano due. Il vero, suo vecchio paziente, e quello finto che era il latitante.
Durante il processo, invece, il dottore ha sostenuto di non aver mai saputo che i documenti sanitari compilati fossero per il boss e di aver creduto alla storia che il geometra non si presentava allo studio personalmente, nonostante la gravissima patologia oncologica di cui soffriva, perché non si sapesse in giro che era malato.
Proprio per sciogliere tutti i dubbi, il tribunale ha disposto nuovi accertamenti: uno informatico e uno medico-legale. La perizia informatica dovrà accertare quando il certificato di sana e robusta costituzione sia stato redatto, e se, come dicono i legali dell’imputato, sia possibile che si sia creato accidentalmente, e non sia però stato mai stampato. La perizia medico-legale, invece, deve dire se l’attestazione sull'idoneità sportiva fosse compatibile con le condizioni di un malato oncologico.
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