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Sull'impronta 33 è scontro tra accusa e difesa di Sempio. Garofano: "Lì non c'è sangue, è una certezza scientifica"

È cominciata la battaglia tra accusa e difesa nella nuova indagine sull'omicidio di Chiara Poggi, con cui la Procura di Pavia ha riacceso i riflettori su Andrea Sempio, l’amico del fratello della ragazza uccisa il 13 agosto del 2007 a Garlasco. Battaglia a colpi di consulenze tecnico-scientifiche su impronte e Dna già repertati e che ora potrebbero, il condizionale è d’obbligo, essere riletti.

Uno dei temi su cui si stanno affilando le armi è l'impronta del palmo di una mano, la «papillare 33», repertata già all’indomani del delitto dal Ris di Parma. Fu individuata, non molto lontano da quella di Marco Poggi, sulla parete di destra delle scale della villetta di via Pascoli, in fondo alle quali fu trovato il corpo senza vita di Chiara: allora, dopo essere stata fotografata e rimossa grattando l’intonaco nella speranza di ricavare del Dna, rimase ignota, ossia senza un nome e cognome. Ora però, gli accertamenti dei Carabinieri del Nucleo investigativo di Milano delegati dai pm pavesi hanno attribuito, con una comparazione fotografica, quella manata a Sempio. Ma per trovare un riscontro all’ipotesi che sia stato lui ad aggredire Chiara o che abbia agito in concorso con altri, si sta cercando, finora senza esito, quell'intonaco in modo da analizzarlo e cercare di estrapolare materiale genetico. Tutto ciò per arrivare a capire se ci sia o meno sangue della vittima.

Per la difesa di Sempio e per il loro consulente, il generale Luciano Garofano, all’epoca del delitto alla guida del Ris e quindi della squadra che fece le analisi su quanto raccolto sulla scena del crimine, in quell'impronta «non c'è sangue», è "una certezza scientifica» dato che quel pezzo di muro asportato con un bisturi sterile venne esaminato in laboratorio. Tant'è che è stato «consumato», come ha riferito ieri sera ai legali del nuovo indagato Angela Taccia e Massimo Lovati, durante un colloquio in vista di una consulenza difensiva. Inoltre, Garofano agli avvocati ha spiegato che «le nuove tecnologie" usate, di cui parla la Procura, non sono altro che «l'utilizzo di Photoshop che esisteva già ai tempi».

Dunque per la difesa è ancora da vedere se appartenga al 37enne quell'impronta. La quale, assieme al Dna estrapolato dalle unghie di Chiara, sarà terreno di scontro in aula e fulcro dell’incidente probatorio che riguarderà altro materiale, scartato durante le prime indagini che portarono alla condanna definitiva a 16 anni di carcere per Alberto Stasi. In base alle recenti analisi genetiche effettuate per conto dei suoi difensori, e ripetute dai pubblici ministeri, uno dei due profili maschili individuati sui margini ungueali della vittima è stato ricondotto a Sempio. Profili ai quali una perizia disposta nel processo d’appello bis dai giudici che ritennero "colpevole» l’ex studente bocconiano non riuscì a dare una identità poiché il materiale biologico su cui lavorare era inutilizzabile e scarso. E ora, con una sentenza passata in giudicato, è andato distrutto.

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