
Il tanto auspicato ritorno al dialogo sembra ormai una chimera. Con l’iter di approvazione della riforma che procede a passo svelto, sale ancora la tensione tra governo e magistratura. In queste ore sul guardasigilli Nordio piovono strali dal Consiglio superiore della magistratura e dal sindacato delle toghe, i due organi più rappresentativi della categoria.
L’Anm ha pubblicato un documento del 1994 che fu inviato via fax alla sede romana dell’Associazione, in cui Nordio sottoscriveva di essere «contrario alla divisione delle carriere dei magistrati con funzioni requirenti e con funzioni giudicanti». Il primo punto del documento, firmato da 1.500 toghe, sottolineava che «nella storia dell’Italia repubblicana l'indipendenza del pm rispetto all’esecutivo e l’unicità della magistratura ha rappresentato in concreto una garanzia per l'affermazione della legalità e la tutela del principi di eguaglianza dinanzi alla legge». E adesso il sindacato ribadisce che si tratta delle «stesse argomentazioni che porta avanti oggi l'Anm e che Nordio respinge, dopo averle condivise e sottoscritte nella veste di magistrato».
Poco dopo il ministro, all’ANSA, ha replicato: «In quegli anni ero contro la separazione delle carriere perché auspicavo che la magistratura restasse compatta, in tempo di stragi e tangentopoli. Poi ci fu il caso del suicidio di un indagato in una mia inchiesta a Venezia. Da lì capìì che si stava esagerando e nel 1995 cambiai idea, tanto che anche alcuni giornali il giorno dopo titolarono su questa mia nuova decisione. Del resto non sono stato certo l’unico tra i magistrati, tra i politici e tra i giornalisti a cambiare idea. Nel 1997 fui chiamato dai probiviri dell’Anm per render conto delle mie idee, che ribadìi».
Il Guardasigilli a sua volta ha anche pubblicato sul sito del ministero il carteggio che all’epoca ci fu con i probiviri dell’Associazione riguardo ad alcune sue dichiarazioni. Non è l’unico strappo della giornata che si consuma tra toghe e ministro. Al Csm il braccio di ferro tra magistrati e laici di centrodestra sul caso Piccirillo termina in favore dei primi. Il plenum del Csm ha approvato a maggioranza la pratica a tutela del sostituto procuratore della Cassazione, il quale era stato criticato da Nordio per la sua intervista sul caso Almasri.
Un solo membro togato, Berndette Nicotra, si è astenuto, mentre i consiglieri filogovernativi, Aimi, Bertolini, Bianchini, Eccher e Giuffrè, hanno votato contro. Il giorno precedente il plenum era saltato per due volte in mancanza del numero legale, dopo che gli stessi laici di centrodestra avevano disertato l’aula decidendo di non partecipare né al dibattito, né al voto sulla pratica a tutela di Piccirillo.
La terza volta hanno invece partecipato solo alla votazione: alla base della nuova decisione c'è stata la volontà di non far saltare il voto anche su altre delibere importanti, come l’approvazione dell’immissione in ruolo di 400 magistrati tirocinanti, secondo quanto prevede il provvedimento di urgenza per il raggiungimento degli obiettivi del Pnrr. Intanto nella delibera approvata dal Csm sul caso Piccirillo si denuncia «la gravità delle affermazioni rese dal ministro della Giustizia, per il loro potenziale impatto sulla fiducia dei cittadini nella funzione giudiziaria».
Quella dei laici di centrodestra era invece un’accusa per la velocità che era stata impressa a quel documento di tutela: "Difficile non pensare che, grazie a questa tempistica accelerata, si sia voluto discutere questa pratica proprio all’indomani dell’approvazione della riforma della giustizia per polemizzare così con il Guardasigilli», avevano detto, continuando ad attaccare: Il Csm non deve essere la succursale dell’Associazione nazionale magistrati».
Dal canto suo il presidente della Prima commissione, Tullio Morello, si è difeso: «Con la presa di posizione di oggi il Consiglio dimostra di avere gli anticorpi contro gli attacchi che gli vengono dall’esterno e anche dall’interno». E il togato Marcello Basilico, ha aggiunto: «La novità di questa pratica è l'attacco mosso alla sezione disciplinare, che è un organo di giustizia, tale e quale un tribunale o una corte. Le correnti, checchè ne dica il ministro, nulla a che fare hanno con le sentenze nei confronti dei magistrati come di ogni altro individuo».
Caricamento commenti