
“Il sogno” europeista di Roberto Benigni potrebbe essere stato l’incubo di Giorgia Meloni, grazie a uno di quegli imprevedibili cortocircuiti mediatici che ha portato la meloniana Raiuno a trasmettere mercoledì in eurovisione, lo straordinario monologo sul manifesto di Ventotene, lo stesso giorno in cui la presidente del Consiglio aveva preso le distanze dal documento redatto da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni durante il loro confino. Una lezione di europeismo che è suonata come la più alta, comprensibile, colta, rispettosa ed elegante confutazione del pensiero espresso dalla premier, molto più incisiva delle scomposte contestazioni dei parlamentari.
Se pensavamo che Benigni avesse raggiunto la vetta più alta della sua capacità comunicativa col monologo sulla Costituzione italiana, ancora mancava la sua appassionata adesione agli ideali europei. Il suo intervento è stato un crescendo, sia nella forma che nella sostanza, dopo un inizio un po’ sottotono con saluti al presidente Mattarella, auguri al Papa e battute poco più che graziose e certamente non graffianti. Ma è bastato il tempo per prendere le misure con una diretta che, per argomento e circostanze, poteva apparire scivolosa, perché Benigni si proclamasse estremista europeista, spiegando la forza, l’innovazione, la lungimiranza del pensiero degli ideatori del manifesto di Ventotene.
È difficile reggere la scena da soli per oltre due ore, ma il premio Oscar ha saputo tenere incollati quasi quattro milioni e mezzo di telespettatori, pari al 28.1% di share, con un racconto piano e lineare pur nella sua complessità, nel quale, come link, si aprivano confronti geopolitici e aneddoti delicati, e ha così accompagnato chi era all’ascolto a conoscere il passato per comprendere il presente e proiettarlo nel futuro.
La difficoltà pratica di ricordare gli snodi principali di un lungo discorso, la capacità narrativa di utilizzare una prosa semplice ma non banale, la forza attrattiva nel tenere sempre alta l’attenzione nei passaggi argomentativi, la tensione emotiva per dare corpo alle riflessioni, fanno certamente di Roberto Benigni un maestro, ma ancor di più tale maestria va ammirata, laddove i concetti espressi mostrano un approfondimento culturale che non perde spessore neanche se si semplificano i significati. Il racconto di Benigni è stato come un fiume che via via si ingrossava trascinando insieme alla filosofia politica, l’economia, l’evoluzione della democrazia e l’imprescindibile esigenza di comprenderne la deriva, l’importanza del “cedere per avere” dopo le riflessioni sulle guerre e sui nazionalismi. Una piena non distruttiva che ha restituito limo fertile per le coscienze dei più giovani, indirizzata a quella generazione Erasmus che ha abbattuto i confini, ampliato i propri orizzonti e nelle cui mani è il futuro.
La lucidità del discorso di Benigni ha messo in luce storture di un sistema politico non ben strutturato e potenzialità di una Europa che potrebbe intimorire per le prerogative che possiede ma che, al contrario, appare sottomessa, la necessità di una progettazione che tenga conto delle risorse comuni e non si lasci vincere dalla paura di scelte difficili. Un Benigni fortemente impegnato nel trasmettere un sentimento europeista attraverso la logica e la consapevolezza e non per mera scelta di parte, schierato ma non fazioso, entusiasta ma non illuso, che ha saputo rendere viva e vitale l’idea di unione e condivisione nel rispetto delle diversità.

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1 Commento
Peppe
21/03/2025 21:56
Benigni un gigante di cultura in confronto ai nanerottoli ignoranri , oltre che faziosi , della politica.