di Anna Mallamo
C’è una croce, enorme, oggi, nella piazza Santa Croce di Firenze. Formata da più di 50 blocchi di marmo – tutti di Carrara, tutti diversi, piccoli e grandi, in tutti i diversi colori del marmo, con altre forme applicate qua e là – distesa come un corpo, con la fronte in su, verso il cristallino cielo toscano, orientata come una freccia. È un’installazione – che è il modo in cui si chiamano a volte le opere d’arte quando scendono in mezzo a noi e ci restano, e si fanno circondare e guardare e toccare – dello scultore Mimmo Paladino. I blocchi infatti non sono inerti: devono essere toccati, percorsi, circondati. Si deve potere «vivere» la croce – spiega Paladino – «la si deve percorrere, attraversare, cogliere nella sua interezza».
Perché la bellezza orienta, dà direzione e significato ai luoghi e ai percorsi. Persino in un luogo come Firenze, dove la bellezza parla ad ogni angolo: ma la bellezza, per sua natura e per nostra fortuna, pur essendo fragilissima è pure moltiplicabile, esponenziale.
Quella grande croce di marmo «conduce a un approdo preciso, una basilica francescana che è al tempo stesso il pantheon dei grandi del nostro popolo, credenti e non», ha detto l’arcivescovo di Firenze, cardinale Giuseppe Betori.
Poco più lontano, nello spazio scandito dagli spigoli magnifici del Battistero, si fronteggiano altre tre croci: i tre Crocifissi lignei forse più belli dell’arte italiana, di Donatello, Michelangelo e Brunelleschi, per la prima volta assieme, in un dialogo fittissimo e muto. È “Florens 2012”, la Biennale internazionale dei beni culturali e ambientali di Firenze.
La croce – simbolo fortissimo, declinata di continuo dall’arte, portatrice di enorme forza – diventa veicolo di un messaggio ulteriore e assoluto: la bellezza, come una bussola, riesce a darci senso e direzione. Seguiamola.