ANTONIO MANZINI
PISTA NERA
(Sellerio editore, pag. 275, euro 13,00)
Non è nera ma rosso sangue la pista su cui scivola il caso al centro del nuovo romanzo di Antonio Manzini, che trascina l'ambiguo vicequestore Rocco Schiavone nel gelo di Champoluc. Il giallo nasce infatti quando un monumentale gatto delle nevi si scontra con un cadavere su un luogo ameno come una pista da sci, che generalmente nell'immaginario viene collocato nella casella della piacevolezza vacanziera. Ma il gioco intorno al quale ruota abilmente tutta la vicenda e l'atmosfera di "Pista nera", è proprio quello dello straniamento, in un lento disvelarsi di scenari che catturano il lettore fino all'ultima pagina.
C'é prima di tutto l'effetto straniamento della pista da sci, dove si respira in genere calma, silenzio e tranquillità, trasformata in notturno luogo della tragedia. C'é il paesino di montagna e i suoi altrettanto sereni abitanti, Champoluc, trasformato in un nodo di trame, di emozioni e di segreti. Ma c'é soprattutto il protagonista, Rocco Schiavone poliziotto romano fino al midollo, trascinato così fuori del suo abituale contesto, che ruota tra Trastevere e la Garbatella, sulla vetta delle cime alpine. Lui tanto ostinatamente cittadino di lidi miti, da rifiutare di indossare scarpe adeguate: si tiene ostinatamente ai piedi un paio di surreali Clarks fino ad un solo tardivo cedimento per a suo avviso orribili ma più adeguate calzature d'alta montagna.
Ma, come scoprirà il lettore solo leggendo il libro, non sarà solo questa l'unica anomalia, Schiavone ne nasconde di ben più sostanziali. Insomma l'essenza del giallo del "nulla è ciò che sembra", qui viene rispettata in pieno e Manzini sembra aver letto bene gli altri due giallisti di culto della casa editrice che lo pubblica, ovvero Andrea Camilleri e Marco Malvaldi e con i quali del resto era già in Capodanno in giallo, che ha segnato il suo passaggio a Sellerio. Del primo c'é il sapore da commedia all'italiana che rivive nel commissariato, anche se questa volta dalla Vigata di Montalbano siamo passati ad Aosta, con un contorno però altrettanto macchiettistico di figure di contorno. Del secondo, c'é il tratto d'approfondita indagine umana dei luoghi e dei personaggi che fanno da sfondo agli arzilli vecchietti del toscano BarLume di Pineta, e qui alla vita del paese. Insomma la palermitana Sellerio sembra completare con Manzini il quadro geografico del giallo all'italiana, con il tassello - un po' romano un po' alpino - che gli mancava, ed anche in una continuità generazionale che fa solo ben sperare.