di Anna Mallamo
Antigone: poche eroine appartengono così profondamente e durevolmente al patrimonio collettivo di miti, icone, simboli. La fanciulla figlia di re, ma prima ancora tragica figlia di tragica famiglia segnata da maledizioni divine, suicidi, lotte fratricide: figlia di Edipo e Giocasta, sorella di Eteocle e Polinice. Icona della ribellione, in nome del cuore e del sangue, contro il potere e la fissità arida delle leggi; almeno, questo secondo il clichè più usato e sovrapposto alla realtà, assai più sottile, ricca, complessa e provocatoria del personaggio sofocleo.
L'intendimento della regista Cristina Pezzoli, alla sua prima volta nella cavea siracusana, dove il teatro è chiamato forse a un compito persino più arduo del solito, con le parole antiche risvegliate a vita nuova, reinvestite nelle vicende senza tempo – e per questo contemporanee di sempre, dell'uomo – della letteratura greca classica, era appunto quello di rompere la crosta di sovrapposizioni, interpretazioni, simbolismi e ridare al personaggio di Antigone una sua verità fondamentale, il farsi delle sue ragioni nel dialogo con Creonte, lo zio divenuto re e autore dell'editto che lei, la fanciulla dolente, ha trasgredito, cercando di dare sepoltura al fratello Polinice, respinto ed esecrato dalla città come nemico.
Nella fluida traduzione di Anna Beltrametti, le ragioni della philia (che è insieme affetto e appartenenza, identità e legame) che animano l'una e l'altro si fronteggiano e si scontrano, in un confronto – serrato, linguisticamente percussivo – soggetto a continuo e reciproco scacco, laddove Antigone (la giovane giarrese Ilenia Maccarrone, spigolosa nel rendere il rigore adamantino dell'eroina) accampa la priorità delle leggi non scritte e antiche della pietas e dei doveri verso i defunti e i consanguinei, mentre Creonte (il solido Maurizio Donadoni, che interpreta lo stesso personaggio anche nell'altra tragedia del ciclo, l'Edipo Re) le oppone la sua fede, necessaria fede, nei nomoi, le leggi umane, il diritto fondato sulla logica e il patto sociale. Ciechi ciascuno alle ragioni dell'altro, o meglio ciascuno alla possibilità ulteriore di comprendere quelle ragioni e trovarne un'altra condivisa. Così come appassionante, nel suo concento di affetti concordi e discordi intendimenti, suona il dialogo tra Creonte e il figlio Emone (Matteo Cremon), fidanzato di Antigone e che ne condividerà la tragica sorte.
Ed è infatti quella la parte senz'altro più riuscita e coinvolgente, punto di forza al netto di alcune scelte registiche non troppo perspicue.
Incisiva Isa Danieli, sia pure con un trucco horror, nei panni d'un (filologicamente) androgino Tiresia, vera svolta narrativa della tragedia. Il coro, che nella tragedia sofoclea parti di rabbrividente bellezza, si muove su musiche di Stefano Bollani. Al servizio d'una scena senza tempo i costumi di Nanà Cecchi.
Si replica a giorni alterni fino al 23 giugno.
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