Lunedì 23 Dicembre 2024

La grande bellezza
della tragedia

di Anna Mallamo

Dal mare di terra dove sono confitte e nascoste le nostre radici sorgiamo, già col nostro destino di morte scritto addosso. Ci troviamo nella landa terrosa della vita, al cospetto della soglia misteriosa oltre la quale si agita ciò che non vediamo. Ci troviamo nella landa terrosa e bruna, sovrastata dal portale-altare arcano e fuori dal tempo opera di Arnaldo Pomodoro, in cui s’è trasformato il teatro greco di Siracusa – una delle “porte” ancora esistenti tra il nostro mondo e il mondo antico, un luogo dov’è ancora possibile sentirsi parte d’una storia millenaria, forse eterna – per il ciclo di spettacoli classici che celebra il centenario dell’Inda, l’istituto nazionale del dramma antico. Un’idea, quella di restituire gli spettacoli classici a un loro luogo naturale, vincente da un secolo, come confermano le gradinate del teatro sempre piene di pubblico, specialmente di giovani. 
Siamo a Siracusa nel terzo millennio; siamo ad Argo, dov’è atteso l’arrivo del signore Agamennone vincitore dei Troiani; siamo tutti, spettatori e attori, in una terra fuori dal tempo e dallo spazio dove si rinnova il racconto di ciò che per definizione è fuori da spazio e tempo: il mito. E la fatica improba e magnifica dei registi di oggi – Luca De Fusco per “Agamennone” e Daniele Salvo per “Coefore-Eumenidi” – è mettere in scena versi scritti più di duemilacinquecento anni fa, ma in cui pulsano le stesse domande dei nostri cuori: perché dobbiamo soffrire? Cos’è il male e come possiamo evitarlo? Cos’è la colpa?
Nella tragedia di Agamennone – il re che giunge vittorioso e viene subito sconfitto dalla morte, voluta e tramata dalla moglie Clitemnestra – si rinnova la tragedia di tutta la sua stirpe: la colpa si eredita, il sangue chiama il sangue e non c’è orizzonte di salvezza nella catena implacabile della vendetta. La poesia irta, oscura e vertiginosa di Eschilo (tradotta con ingegno e finezza da Monica Centanni) compone una superba figura di «donna dal cuore maschio», di «donna che parla come un uomo», quella Clitemnestra a cui una leonina Elisabetta Pozzi (“veterana” della scena di Siracusa) conferisce una forza dominatrice, una grazia violenta che seduce. Agamennone (Massimo Venturiello) non approda trionfante, piuttosto è come dissepolto da una “capsula del tempo” (il tema dell’ “archeologia del futuro”, di strutture archetipiche, relitti di segni come disseppelliti da un passato lontano, è costante nelle scelte scenografiche di Pomodoro) e appare già estenuato – a confronto con l’energia indomita e disperata di Clitemnestra – già spento e pervaso dalla morte che lo attende. Con lui c’è Cassandra, principessa troiana e bottino di guerra, perseguitata, prima che dai nemici Achei, dal suo dono oscuro di profetessa: Giovanna Di Rauso la costruisce con allucinata, e in qualche modo splendente, nitidezza.
In una messinscena essenziale e asciutta, in cui le belle musiche di Antonio Di Pofi (meritatamente ardito nell'uso «timbrico e percussivo», assai moderno, del pianoforte) entrano in risonanza con la prosodia profonda del testo, la tragedia si chiude come un cerchio scuro e terroso attorno ai protagonisti, come il cerchio del coro (composto dai vecchi di Argo, corifei Francesco Biscione, Massimo Cimaglia, Piergiorgio Fasolo e Gianluca Musiu), i “morti viventi” della prima scena, emersi dal nostro passato remoto o, ancora più in fondo, dal nostro comune inconscio collettivo, dove sono seppelliti tutti i segni e i sogni. 
Nel fitto gioco di richiami e omaggi di quest’edizione c'è anche la presenza di Mariano Rigillo, nei panni dell’araldo: aveva debuttato giusto 50 anni fa su questa stessa scena, nell’Eracle. Egisto è Andrea Renzi, la sentinella Mauro Avogadro (che è anche il regista delle “Vespe”).
 Registro del tutto differente, visionario e ricco di effetti scenici (anche nell’uso della musica che concorre a costruire il pathos), per le due tragedie che concludono la trilogia, “Coefore-Eumenidi”, di Daniele Salvo. L’erta scoscesa di terra sparisce, e la scena si popola d’una quantità di presenze, in un crescendo metafisico: dalla tragedia umana, troppo umana di Elettra (Francesca Ciocchetti), Oreste (Francesco Scianna, ormai volto noto del cinema e della tv) e la loro sventurata stirpe (torna in scena, ancora inquieta e indomabile, nei panni dello spettro di se stessa, Clitemnestra-Elisabetta Pozzi) all’apparizione della Pizia (un’ispirata Paola Gassman), al “tribunale” istituito da una ieratica Atena (Piera Degli Esposti). Ed è un caso mai visto prima, “giustizia contro giustizia”, in cui le Erinni, dee arcaiche (il coro in costumi granguignoleschi) e persecutrici di Oreste il matricida, si scontrano col logos di Apollo (un olimpico Ugo Pagliai, per cui forse si poteva studiare qualcosa di diverso dalla “macchina” che lo porta in scena): la legge antica della vendetta e del sangue contro la legge della polis e della ragione. Il dilemma dell’Atene del quinto secolo, forse delle comunità di ogni tempo e luogo: come la ragione può disciplinare il caos, e la legge naturale sottomettersi al diritto.  (In scena anche Gaetano Piazza, Egisto, Marco Imparato, Pilade, Alessandro Romano, servo di Egisto, e Antonietta Carbonetti, nutrice).
La parola-chiave per il regista Salvo è “emozione”, in un crescendo di luci, suoni, fumi, effetti speciali che, pur se riconosciuti come linguaggio soprattutto dagli spettatori più giovani, talora tendono a travalicare e sovraffollare di segni lo spazio della scena, ancora dominato dalle bellissime porte-totem e nel quale ora si drizzano obelischi, pietre tombali, scenario ideale per il vagare delle furiose Erinni, destinate nel finale (ricco di fiaccole, custodi, portatrici di mantelli e movimenti di masse) a trasformarsi in Eumenidi, dee “ammansite” e benevole, nuovi numi della polis. Il sole di Febo Apollo splende infine sul buio e lo dissolve. 
L’emozione comunque c'è sempre, eco della catarsi con cui i Greci misuravano l’efficacia della poesia tragica, e che noi riconosciamo ogni volta, grati, alla grande bellezza di Siracusa e dei suoi riti.
Si replica a giornate alternate fino al 22 giugno.

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