Andrea Camilleri torna dopo 12 anni a Palermo per annunciare quello che i suoi lettori vogliono sentire: Montalbano non va in pensione. L'investigatore di Vigata si prepara a festeggiare, con l'amatissima Livia, i suoi 64 anni. E' un uomo maturo, è un po' stanco, ma ha ancora tanto da fare: la corruzione incalza e lui capisce che questo è il suo nuovo orizzonte investigativo. Perciò resta in servizio. E non perché il suo autore condivida la riforma Fornero ma perché bisogna continuare a indagare (Montalbano) e a raccontare nuove storie (Camilleri) "per piacere più che per dovere".
La svolta narrativa trova già modo di confrontarsi con una rinnovata questione morale nell'ultimo libro edito da Sellerio, "La piramide di fango". Nella versione siciliana "fangu" ha un'assonanza con "sangu". E in effetti sono macchiate di sangue le ferite fangose del paesaggio. Così la metaforica piramide del potere assume una nuova fisionomia sotto la spinta della cronaca. "Sembra cadere a taglio - dice Camilleri citando Sciascia - dopo gli scandali dell'Expo di Milano e del Mose di Venezia". La scelta dello scrittore siciliano è certamente indotta da una sensibilità politica ("Tutti sanno che ho votato Tsipras") ma la nuova dimensione letteraria non è indifferente al fatto che Montalbano è ormai stanco di confrontarsi con "assassini idioti". E vede, con crescente indignazione, che "si sta raschiando il fondo della corruzione". Arrivati ormai a un punto di non ritorno, "resta solo la speranza che la piramide di fango possa implodere per eccesso di corruzione". A quasi 90 anni Camilleri non pensa neanche lui di andare in pensione. Quando diede vita a Montalbano pensava di fermarsi al secondo romanzo, "Il cane di terracotta". Non credeva di avere la capacità di tenere testa all'impegno della serialità.
"Ma poi, scherzando e ridendo, è stato il personaggio stesso - spiega - a costringermi a continuare. Del resto il suo successo ha funzionato da apripista per i mercati stranieri. Senza Montalbano non ci sarebbe stato spazio per gli altri romanzi. La spinta decisiva l'ha data la televisione che lo ha fatto conoscere in 63 paesi e ha aperto nuove piste narrative". Inevitabile per il suo padre letterario avvertire il peso del personaggio: "Devo ammettere di esserne in qualche modo prigioniero". Camilleri è attento a sfuggire alla seduzione della notorietà. Ci tiene a mantenere, anche nelle risposte ai giornalisti che lo incalzano nel salotto di Sellerio, la casa editrice che lo ha lanciato, uno stile sobrio ed essenziale.
Ma non può fare a meno, lui che viene da lontano, di dare piccolo consigli ai giovani scrittori emergenti, "che nascono come funghi". Il primo è quello più risoluto: non frequentate scuole di scrittura. Il vero segreto però è quello di "leggere, leggere, leggere, leggere". Lo ripete quattro volte per dare un peso alla sua sollecitazione. E' la sua personale esperienza a farglielo dire: come lettore cominciò molto presto. A 12 anni incontrò, nella biblioteca del padre, "La follia di Almayer" di Joseph Conrad. E quello fu il libro che cambiò la sua vita. A quel tempo non c'era la tv, la radio era "un mobile intrasportabile" e a un bambino alle prese con le malattie dell'infanzia restava solo il sano passatempo della lettura.