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Turandot incontra
i Google Glass

Il ghiaccio è rotto, il segno tracciato. Al Lirico di Cagliari l'opera è entrata nel XXI secolo nel momento in cui la perfida Turandot, oltre a tagliare teste, ha inforcato i Google Glass e si è prestata a un interessante esperimento di rappresentazione collettiva e interattiva. Una prima mondiale. Giustamente salutata da una copertura mediatica internazionale. Certo, come tutte le prime volte, è più l'emozione dell'ignoto a far battere i cuori che la completezza dell'esecuzione. Insomma: l'idea è buona, ma c'è ancora parecchio da limare. Intanto bisogna fare i conti con i limiti tecnici imposti da Mountain View. Al momento, ad esempio, niente streaming. 

Ecco allora che l'unità di ricerca e sviluppo tecnologico del Lirico di Cagliari, guidata da Nicola Fioravanti, ha aggirato l'ostacolo creando una 'staffetta' tra chi sul palco indossava gli occhiali multimediali (tre in tutto) e i tecnici. Così il download avveniva quasi in tempo reale e grazie all'app 'semestene' - realizzata in partnership tra il MediaLab del Lirico e la TSC Lab - le foto e i video prodotti da orchestrali e attori potevano essere automaticamente 'sparati' sui social network del teatro. Un dialogo potenzialmente esplosivo capace di abbattere molti steccati. E forse avvicinare un pubblico nuovo alla più 'parruccona' delle arti. "Questa alla fine è la vera sfida", chiosa il Sovrintendente del Lirico Mauro Meli, che da quando è tornato alla guida del Teatro ha puntato tutto sull'innovazione. 

Nella pausa tra il secondo e il terzo atto Meli si entusiasma per i numeri: "Abbiamo 300 mila persone collegate in rete, la sala ne tiene milledue...". Poi, ovvio, i click non sono biglietti e un tweet non varrà mai il nessun dorma ad acustica come dio comanda. Eppure c'è un perché, se proprio la grande incompiuta del maestro Giacomo Puccini è stata scelta per tentare l'evento. 

"Con Turandot - spiega Meli - l'opera lirica entra nel futuro, melodicamente e armonicamente parlando. E' l'ultima opera italiana, così come il mondo la immagina: ci pareva adatta". Se dunque essere moderni è il tema, l'obiettivo è raggiunto, anche e sopratutto grazie alle scenografie dello scultore sardo Pinuccio Sciola. Che ha trasformato la Pechino della meraviglia in un deserto di pietra straniante, tela perfetta per i costumi fantasmagorici di Marco Nateri. L'effetto finale è un mix rinfrescante tra il sempiterno Oriente e Star Wars. "La Turandot di stasera è favolosa in sé, anche senza i Google Glass", è il contributo definitivo del 'tecnico' Fioravanti. Il resto, a voler essere polemici, è marketing. Che pure, intendiamoci, ci vuole ed è un bene. Però è anche - e questo è lo snodo vero - un baluginante coriandolo di ciò che potrebbe venire: ovvero una regia coordinata, una sinfonia d'immagini catturate da tutti i 'mestieranti' - e qui si può andare ben oltre il 'brand' Google Glass - che diventano ritratto continuo. Meli sottosotto ci pensa già: "Con un regista estroso...".

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