"Non saprei dire quante volte, da quel giorno così lontano, il mio primo morto ammazzato abbia popolato i miei sogni, i miei incubi. E con lui si agitano, come fantasmi indemoniati nelle mie notti senza tempo, tutti gli altri cadaveri". Parole di un killer diventato "Malerba", cioè erba cattiva, per vendicare il nonno e lo zio uccisi in una strage di mafia. Lui, Giuseppe Grassonelli, aveva vent'anni. Alla sventagliata di colpi, che nell'estate del 1986 lasciò sul marciapiedi davanti a un bar sei cadaveri, riuscì a sfuggire. Solo una ferita al piede ma tutta la rabbia che lo ha fatto diventare un assassino seriale. Dopo molti anni Grassonelli, condannato all'ergastolo, ha scelto un'altra strada: entrato in cella semianalfabeta, si è laureato in lettere e ora racconta la sua storia in un libro scritto con il giornalista Carmelo Sardo, che naturalmente si intitola "Malerba" (Mondadori, 380 pagine, 18 euro). Il killer e il giornalista si conoscevano bene ma non si erano mai incontrati prima. Sardo, ora vicecaporedattore del Tg5, raccontava per una tv locale la scellerata epopea di morte di Grassonelli. E Grassonelli era un informato spettatore delle sue cronache. Le loro strade erano rimaste parallele anche se vivevano nello stesso paese, Porto Empedocle, che il grande pubblico conosce meglio come Vigàta nella trasfigurazione letteraria di Andrea Camilleri. Il libro a quattro mani ricompone due vicende, quella del killer e l'altra del cronista, in un racconto incalzante nel quale a Grassonelli tocca la parte del protagonista tanto lucido quanto spietato. La sua è una vita molto intensa che passa attraverso i giochi di strada, l'emigrazione in Germania voluta dal padre per allontanarlo dai "cattivi compagni", il ritorno in paese, la scoperta di essere precipitato in una fosca trama di regolamenti di conti e di vendette crudeli. Come il nonno, a cui era molto legato, anche lui diventa un obiettivo da abbattere. L'uomo che gli dà la caccia è l'amico d'infanzia. Grassonelli sfugge a quattro agguati, risponde uccidendo uno dopo l'altro i suoi nemici. La sua, racconta, è una guerra spavalda e temeraria contro Cosa nostra. E finisce per essere braccato sia dalla mafia che dallo Stato. Il suo incubo sanguinario finisce con l'arresto a 27 anni. Non è morto ma anche la sua è una vita bruciata da un ergastolo "ostativo", che solo da poco è stato declassato a regime di "alta pericolosità". Grassonelli paga il conto, non diventerà mai un pentito. Sceglie di restare prigioniero di "un passato che non riesce a svanire" ma almeno ha capito che la strada giusta è un'altra. "Oggi - dice - credo nello Stato, nelle sue leggi e nella società civile".