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I Bronzi di Riace
non sono soprammobili

di Antonio Siracusano

Fortuna che hanno due facce da Bronzi e possono assistere dall’alto della loro secolare imperturbabilità al ciclico dibattito “del qua qua” che li trascina in un’arena “caciaresca”. E fortuna che non amano viaggiare, altrimenti li avrebbero costretti a indossare panama, colbacco, bombetta e coppola.  Sgarbi e Maroni hanno riacceso micce a combustione rapida, chiedendo i Guerrieri per l’Expo di Milano. Il ministro Franceschini non ha risposto, cioè ha istituito la consueta commissione di esperti. Le truppe si sono schierate nelle rispettive trincee a microfono indiscriminato. E il “qua qua” dilaga.  

Fortuna poi che esistono anche argomenti lievitati da profonde conoscenze, fili logici e  idee per una seria politica culturale. In questo solco il prof. Salvatore Settis, che nella sua Rosarno ha fatto rifiorire le radici di Medma,  ha manifestato con grande chiarezza il suo dissenso all'ipotesi del trasloco in vista dell'Expo.    

Professore, Bronzi immobili ma che girano il mondo con tanga leopardato e velo da sposa (nelle foto, oggetto di polemiche, realizzate di recente da Gerald Bruneau)? 

«Quelle foto a me paiono brutte, e se ho capito bene sono state fatte senza i debiti permessi. Ma non hanno messo a rischio i Bronzi quanto potrebbe farlo qualsiasi spostamento».

  Campanilismo, tesi di retroguardia, eccessi di conservatorismo: usano questi argomenti per confutare il fronte del no alla trasferta milanese dei Guerrieri...

«Nel mio intervento su Repubblica ho seguito un altro ragionamento: e cioè che spostare qualsiasi oggetto d’arte per una mostra va preso in considerazione solo quando ricorrano due condizioni imprescindibili, e cioè: anzitutto il rischio del trasporto sia molto basso (nullo non è mai); in secondo luogo, che la mostra abbia un progetto, un’idea-base, proponga un confronto fra opere d’arte conservate in luoghi diversi, comporti un acquisto di conoscenze sia per il grande pubblico che per gli specialisti: in tali casi, qualche volta (non sempre) vale la pena di correre il rischio del trasporto. L’idea di deportare a Milano i bronzi di Riace, come fossero soprammobili da salotto buono, non può essere definita un progetto culturale ma solo un trucco mediatico, e dunque non risponde alla seconda di queste due condizioni. Secondo la Soprintendenza Archeologica della Calabria, inoltre, il rischio del trasporto è troppo alto, e dunque nemmeno la prima condizione sarebbe soddisfatta».

  Sgarbi dice (e ripete) che lei aveva chiesto i Bronzi per una mostra sulla Magna Grecia a Mantova... 

«Sgarbi ricorda male, sia sul tema della mostra che sulla richiesta dei Bronzi. L’unica mostra che ho mai fatto a Mantova (a Palazzo Te) non era sulla Magna Grecia. Si intitolava “La forza del bello. L’arte greca conquista l’Italia”, e si divideva in tre sezioni: un’Italia greca (sulla presenza greca in Sicilia, Magna Grecia, Etruria); la Grecia conquista Roma (sulle opere d’arte greca portate a Roma dai Romani); nostalgia della Grecia (sulla riscoperta dell’arte greca, sostanzialmente fino a Winckelmann). In questo percorso, i bronzi di Riace non c’entrano: si tratta di opere di artisti greci, fatte in Grecia e conservate in Grecia, che in Italia non arrivarono mai, e per puro caso finirono in mare in acque territoriali italiane: perciò non li ho chiesti. Anche allora non tutti hanno capito questa scelta, ma per fortuna l’allora sindaco di Mantova, Fiorenza Brioni, capì benissimo il mio punto e mi appoggiò in pieno nella decisione, appunto, di non chiedere i Bronzi. Invece (per esempio) un commercialista che allora amministrava Palazzo Te insisteva moltissimo perché chiedessi i Bronzi di Riace, ma io mi sono sempre opposto: a prescindere da ogni problema di trasporto, in quella mostra non c’entravano proprio». 

 La cultura non è un’impresa di traslochi, ma se questi  capolavori fossero  trasportabili senza alcun rischio? 

«Le mostre servono per comparare oggetti di diversi musei, in modo da consentire un nuovo confronto e un nuovo ragionamento. All’Expo che io sappia non si è minimamente pensato in  questa direzione, la sola che (secondo me) è culturalmente legittima. Se i Bronzi venissero dati via in questa circostanza, non ci sarà alcuna ragione per negarli a ogni richiesta, anche le più sgangherate. E diventeranno commessi viaggiatori, rendendo noto al mondo che l’Italia non sa pensare al proprio patrimonio culturale in modo sensato». 

 In tutti questi anni si doveva creare una rete turistica per valorizzare i Bronzi e le bellezze di Reggio e della Calabria. Obiettivo fallito con pervicacia autolesionista. Continuiamo a sperare? 

«Proprio questo è il punto: grazie alla tenacia dell’allora ministro Massimo Bray alcune stanze del Museo di Reggio, e in particolare quella con i Bronzi di Riace, sono state riaperte da pochi mesi. La cosa da fare è trovare risorse e innescare progetti per portare più visitatori a Reggio, non richiudere precipitosamente un museo appena riaperto per traslocare i Bronzi altrove. È un ragionamento tanto elementare che c’è da sperare che qualcuno lo capirà».

Speriamo.

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