ALEXANDRE DUMAS
''IL CONTE DI MONTECRISTO''
(EINAUDI, pp. 1253 - 32,00 Euro - Traduzione di Margherita Botto)
''Caro - rispose Valentine a Morrel - il conte non ci ha forse appena detto che tutta l'umana saggezza era contenuta in queste due parole: Attendere e Sperare!''. E' la frase finale di ''Il conte di Montecristo'', uno dei più famosi e popolari romanzi della storia della letteratura, che proprio sul porsi davanti al passare del tempo con quell'atteggiamento costruisce il suo fascino e la sua avventurosissima storia. Ora Einaudi, nella ricorrenza dei 170 anni dall'inizio della sua composizione, ne pubblica una moderna traduzione integrale e la fine dell'estate, col tempo libero delle vacanze e lo spirito della volontà di ripartire rinnovati, è il momento giusto per affrontare e lasciarsi conquistare dalla sapienza narrativa delle oltre milleduecento pagine di Alexandre Dumas (1802-1870).
Non a caso è il libro che forse ha avuto più riduzioni e trasposizioni (oltre che edizioni e traduzioni), da innumerevoli adattamenti cinematografici, a cominciare da quello del 1922 di Emmett Flynn, vari televisivi (oggi ispira anche la serie Usa 'Revenge'); è diventato un musical come un fumetto, ha subito una delle metamorfosi accanto a Paperino di Walt Disney e, in Italia, è finito sulle figurine Liebig (quelle celebri per l'introvabile Feroce Saladino) e le strisce della Magnesia San Pellegrino.
Ha, appunto, centosettant'anni, ''ma non perde un colpo - si legge giustamente sul risvolto di copertina - Pubblicato a puntate fra l'agosto del 1844 e il gennaio di due anni dopo sul 'Journal des Débats'.... ha lasciato e lascia tuttora col fiato sospeso folle di lettori di ogni estrazione sociale e di ogni paese''. Dumas lo ha composto cominciando la storia e senza avere la più pallida idea di come sarebbe andata a finire, scrivendo a pezzi e bocconi e contemporaneamente lavorando a altri due o tre romanzi, per questo ebbe bisogno, come in altri casi, di un aiuto, un ghost-writer che collaborò a lungo con lui e sappiamo essere stato Auguste Maquet (1813-1888), poeta e drammaturgo che con Dumas finì in tribunale per rivendicare la propria parte di diritti su varie opere scritte a quattro mani, ma ottenendo solo una somma una tantum a risarcimento.
Montecristo è un meraviglioso personaggio diverso da tutti, con le sue avventure noir fuori dalle regole e le atmosfere del romanzo gotico inglese dell'epoca, non essendo nemmeno un vero aristocratico, ammettendo lui stesso di essere ''un conte improvvisato'', ma forte di una ricchezza smisurata, tra le più grandi del suo tempo, che, unita al suo carisma, al suo sguardo magnetico, alla sua grande e fine cultura, riesce a conquistare e abbagliare e far cadere nelle sue trame l'elite politica e finanziari della prima metà dell'Ottocento, quella del regno borghese di Luigi Filippo d'Orleans. Un romanzo poi che, ogni volta, in ogni tempo, ci parla anche di noi, di giochi finanziari capaci di manipolare economie e borse, di una giustizia strumentale e corrotta, dell'abuso di sostanze per superare depressioni e sbalzi d'umore. Montecristo, come i grandi eroi classici, è di ieri e assieme nostro contemporaneo.
Per Gramsci era ''il più oppiaceo dei romanzi popolari'', sfruttando il fatto che non c'è uomo del popolo che non pensi di aver subito un ingiustizia da qualche potente e e che non fantastichi sul riuscire a dargli la giusta punizione. Ma anche un gioco di ripetizioni, digressioni, storie nella storia, zeppe narrative che, invece che difetti, finiscono per essere gli ingranaggi che ci tirano dentro il tutto inesorabilmente. Provare per credere!