16/06/2015
di Franco Cicero
TAORMINA
«Do l’addio alla mia attività di attrice. Non aggiungo altro perché non voglio commuovermi». L’annuncio della splendida ottantenne Giovanna Ralli giunge, a sorpresa, mentre la grande interprete del cinema italiano sta raccontando, con la sua proverbiale bonomia romana, gli esordi che risalgono a quando era poco più che tredicenne. Proprio per i suoi 65 anni di carriera Giovanna Ralli è al 61. Taormina FilmFest che le ha dedicato un premio speciale.
«I miei legami con la Sicilia sono molto forti – continua l’attrice – e anche per questo ho deciso di annunciare il mio ritiro qui a Taormina. Alla Sicilia è legato il mio primo vero ruolo importante, in “Anni facili” di Luigi Zampa, nel 1953. Lo abbiamo girato a Noto. Interpretavo la figlia di Nino Taranto e per la prima volta avevo molte battute scritte per me».
Ma già Giovanna Ralli si era fatta notare in numerosi film, fin da “I bambini ci guardano” di Vittorio De Sica (1942). «Ma in quei casi ero – spiega – una comparsa o una figurante, una “generica” come si dice nel cinema. Io ho cominciato proprio dalla gavetta. Proprio come Sophia Loren: siamo praticamente coetanee, solo 4 mesi di differenza. Però, in realtà, da ragazzina non pensavo proprio di fare l’attrice. I miei sogni erano: sposare un operaio, andare in bicicletta e fare tanti figli. E infatti avevo fatto domanda per entrare alla “Chlorodont”. Al tempo si poteva cominciare a lavorare anche a 14-15 anni. Invece mi cominciarono a chiamare per recitare, prima a teatro con Peppino De Filippo, poi nel cinema. Che dire? Evidentemente avevo talento: mi notavano, mi chiamavano per i film successivi».
Così semplicemente è nata una carriera più che lusinghiera, che per decenni ha portato Giovanna Ralli a lavorare con alcuni dei nostri maggiori registi e a disegnare un preciso personaggio di donna concreta, apparentemente remissiva ma sempre estremamente perspicace, con spesso in evidenza le sue autentiche radici “romanesche”. Ma quale è il segreto della sua capacità recitativa? Lo spiega con franchezza: «Il talento va coltivato, non basta studiare, altrimenti viene fuori una recitazione accademica. Fu Sergio Amidei a illuminarmi: “Credi in quello che dici”. Spero di averlo sempre fatto e forse per questo il pubblico mi ha trovato sempre credibile».
Di sicuro Giovanna Ralli non crede nel metodo dell’immedesimazione col personaggio: «Non sono mai stato influenzata dai ruoli interpretati. Il set è il set, la vita è la vita». Ricorda volentieri i film accanto ad Alberto Sordi e rievoca con una risata contagiosa alcune delle battute più divertenti. Ma l’attore con cui si è sentita più in sintonia è «Marcello Mastroianni, una persona incantevole. Poi ci siamo ritrovati già maturi a recitare in “Verso sera” una scena a letto, da amanti. E quante risate su quella situazione ormai fuori tempo massimo...».
Per quanto invece riguarda i registi, la Ralli ha l’imbarazzo della scelta: «Nel mio primo periodo sicuramente sono stati importanti Franciolini, Zampa, Emmer. Poi alla fine degli anni ’50 l’incontro con Rossellini per “Il generale della Rovere”. Dopo ancora Lizzani e poi Scola per “C’eravamo tanto amati”, per il quale ho vinto il Nastro d’argento». Un premio, ricorda la Ralli, che non aveva potuto ritirare nel ’75 e le fu consegnato, proprio a Taormina, dieci anni dopo. «Un legame in più con la Sicilia. E anche – aggiunge – devo dire che interpretavo una siciliana nel film che ho girato a Hollywood con Blake Edwards, “Papà, ma che cosa hai fatto in guerra?”, accanto a James Coburn. Che esperienza! Ricordo che mi avevano dato il camerino che era stato di una star degli anni 40, Carole Lombard. Non era un camerino, era un appartamento! E la roulotte per gli esterni era pure immensa, tutta tappezzata di pelle di leopardo. Ma comunque la Sicilia l’ho frequentata molto anche grazie al teatro. Con le tournée mi accadeva spesso di recitare nei teatri siciliani. Vittorio Gassman mi aveva proposto, alla fine degli anni 50, anche di fare un progetto insieme per il Teatro Antico. Ma rifiutai». E aggiunge sorridendo: «Non mi parlò per tre anni».
Il teatro, infatti, è l’altro amore di Giovanna Ralli, forse il vero amore: «Se devo essere sincera i miei registi preferiti sono Garinei e Giovannini. Per “Un paio d’ali” nel ’57 per me fecero comporre da Gorni Kramer “Domenica è sempre domenica”. Poi la canzone è diventata sigla del “Musichiere”. Ma sono stato io la prima a cantarla. Guai chi mi tocca Garinei e Giovannini!».
Mentre parla, accanto a Giovanna Ralli ci sono i fratelli Vanzina, che hanno avuto il merito di rilanciare l’attrice anche nella “terza età” con “Il pranzo della domenica” (2003), al quale poi sono seguiti più recentemente “Immaturi” di Paolo Genovese (2011) e “Un ragazzo d’oro” di Pupi Avanti di quest’anno, per il quale la Ralli è in cinquina tra le non protagoniste per gli imminenti Nastri d’argento. Per questo l’annuncio del suo ritiro appare così sorprendente. E chissà che il lunghissimo applauso con cui è stata festeggiata dal pubblico del Teatro Antico non le faccia cambiare idea. In ogni caso, un sincero: grazie di tutto, Giovanna Ralli.