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Ma quale sarà davvero
l’ultimo muro?

In quest’Europa smemorata e schizofrenica ci sono, ad ogni istante, gesti che si contrappongono: frontiere che cadono e muri che si alzano, accoglienze e respingimenti, fili tesi per unire e fili spinati per dividere. Il nostro stesso mar Mediterraneo, che per secoli è stato la via della condivisione e dello scambio, è adesso tomba e galera, insanguinato, tagliato di continuo dalle rotte del dolore. Al Teatro Antico di Taormina, nella serata d’inaugurazione della quinta edizione del Taobuk festival, davanti alla folla che non seguiva semplicemente uno spettacolo ma beveva avidamente parole e suoni, si è compiuto un altro piccolo atto di dissonanza, di contraddizione virtuosa: eravamo tutti lì a celebrare la bellezza, il dialogo, la parola che tende ponti e intreccia mani, proprio mentre altrove, in altri luoghi della stessa Europa, si consumavano tragedie.

All’Europa dei muri noi, liberi abitanti di un’entità ancora più sovranazionale e ideale, noi comunità di lettori, vorremmo opporre l’Europa dei ponti, proprio come ha detto di recente papa Francesco – e anche le sue parole preziose sono state raccolte nel bel video d’apertura della serata, che con efficacia ha declinato il tema di quest’anno: “Gli ultimi muri”.

Ma quali saranno, gli ultimi muri? Ci sarà mai un ultimo muro? Ci siamo illusi che quello di Berlino lo fosse: abbiamo ballato sulle sue rovine, e moltiplicato gli sforzi perché l’Europa della libera circolazione di idee e popoli e culture fosse una realtà senza limiti. Non è così, e forse siamo paradossalmente più lontani di prima da questo traguardo: forse muri altrettanto solidi ancorché invisibili si sono drizzati in mezzo a noi – ben prima dei mattoni e del filo spinato ungherese – e la crisi drammatica dell’Occidente ce lo dimostra.

Le disuguaglianze e le ingiustizie crescono, la finanza governa i governanti e ogni giorno viene tolto qualcosa alle risorse per la cultura, l'istruzione, la conoscenza, in nome di una mentalità mercantile e utilitaristica. Conquiste in termini di libertà e diritti che sembravano cosa assodata e intoccabile sono messe in discussione.

Può un Festival letterario fare qualcosa? Sì, probabilmente sì. Additare la bellezza, l’arte e il loro enorme potere sovversivo serve sempre, nei tempi in cui spadroneggia la bruttezza, coi suoi fili spinati, coi suoi muri.

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