Lunedì 23 Dicembre 2024

Aspromonte tragico
e magico terra di odio
e di perdono

di Domenico Nunnari

«Come sempre ho ceduto a esso un pezzo della mia anima». Gioacchino Criaco parla del suo nuovo romanzo “Il saltozoppo” appena uscito da Feltrinelli. È alla prova più impegnativa lo scrittore di Africo, classe ’65, dopo il sorprendente esordio con “Anime nere” – la cui trasposizione cinematografica, con la regia di Francesco Munzi, è divenuta un successo internazionale – e torna a raccontare, dopo sette anni da quel debutto e altri due romanzi, “Zefira” e “American taste” (tutti pubblicati da Rubbettino), una favola nera ambientata nella sua terra d’Aspromonte, dove le memorie dolorosissime del passato si mescolano alle ansie del presente. Tutto nel solco fertile di quella letteratura meridionale che ha offerto all’Italia, come diceva Corrado Alvaro, un simbolo di dolore e miseria, ma le ha pure dato, con il senso del tragico, una narrativa potente quanto essa stessa è oppressa.

“Il saltozoppo”, come è nello stile speciale di Criaco, ha quella marcia in più che nasce dall’impeto del raccontare, dall’urgenza della narrazione come balsamo per pacificare se stesso, dal senso di fatalismo della tragedia greca che si trasforma, con una dolcezza velata, in fiaba amara. È il racconto di un’alluvione che aveva intorbidato e inghiottito ogni cosa l’incipit del romanzo, e a mano a mano fa il suo ingresso nella narrazione l’umanità tormentata delle campagne dell’Allaro, il fiume delle acque nere che nella furia della notte si era portato via gli ultimi rimasugli delle loro fertili piane.

Dentro quella valle chiusa da due montagne per secoli un popolo antico, fatto di stirpi che ne avevano conquistato le terre e dato vita ad antiche contese, è vissuto tra lotte e odio che sembrava dovessero durare in eterno. Che sono comunque durate fino ai giorni nostri, quando gli antichi rancori hanno prodotto la peste; che non è la peste di manzoniana memoria, il flagello più temuto e catastrofico che ha per millenni colpito l'umanità in ogni angolo del mondo, ma una peste nera, un morbo della violenza, della vendetta, della barbarie e della mafia che a queste latitudini si chiama ’ndrangheta. Una peste che contagia con il seme dell’odio, e s’incrocia con un destino di ferocia, di disprezzo e di morte. Il flagello di una Calabria in cui i nonni, invece delle favole, raccontano storie terribili di sangue e di morte, e dicono che sono cose vere, accadute ai parenti dei tempi passati.

In questo ambito ristretto e fuori dal mondo nasce l’amore impossibile tra Agnese e Julien, due giovani che appartengono a famiglie rivali. Questa storia d’amore contrastata cuce il filo della speranza d’un cambiamento, nonostante più volte ritorni puntuale la peste della violenza, capace di distruggere famiglie intere, spingendole in interminabili faide. Ma a volte nemmeno la peste può nulla, e non riesce a dividere Agnese e Julien, malgrado essa infetti proprio lui e il suo cuore di lupo, assetato di vendetta, come si è sempre fatto, in quelle terre, nei secoli. Come gli uomini hanno sempre fatto, mentre le donne, educate al silenzio nell’antica stanza del telaio, intessono la trama della pacificazione, che è l’unica che può vincere la tragedia delle terre sante e profanate dell’Aspromonte. Di questo abbiamo parlato con lo scrittore.

Criaco, anche in questo suo nuovo romanzo, come già era accaduto con “Anime nere”, sembra che la sua scrittura, le sue storie nascano dalle viscere della sua terra, per poi esplodere con fragore, come un frastuono che si ha dentro e di cui bisogna liberarsi. È come un ribellarsi al fato di queste terre con la narrazione; un voler portare alla luce questioni oscure che solo la letteratura riesce a spiegare. È così?

«È rombo di tuono, cui la precisione dei fatti o la definizione esatta degli eventi, richiesti dal saggio o dal pezzo giornalistico, non permetterebbe di deflagrare in tutta la sua potenza. La possibilità di ricostruire gli accadimenti nutrendoli d’una fantasia che contiene pulsioni ed emozioni, che è propria della letteratura, consente l’esplosione d’un mondo interiore compresso e complesso, che pur se portato alla luce dal singolo risponde a un’esigenza tutta aspromontana, o forse calabrese, o forse meridionale, di raccontarsi, di parlarsi. Un tarlo che ci rode dentro, nutrendosi di ingiustizie e torti veri e supposti. Una resa dei conti con noi stessi prima che con gli altri».

Il “Saltozoppo” mostra un mondo in cui sembra che il destino di povertà, violenza ed emarginazione sia una strada obbligata, ma a monte c’è la storia antica dei soprusi dei potenti, delle sopraffazioni, della sottomissione della povera gente. È quello il nodo del perché la Calabria, il mondo dell’Aspromonte oggi sono come sono?

«Sono i panni della cronaca che agli aspromontani stanno stretti, perché pur essendo reali tanti fatti di cronaca, non si può negare loro di aver avuto una storia, gloriosa o no che sia stata. Non si può negare loro di essere stati un popolo, con pecche o meno, e non può esser negato loro il diritto di provare a essere un popolo nuovamente, di spezzare un filo di cronaca nera che è lungo pochi e tristi decenni e riannodare la fune di una storia comunque millenaria, con una propria identità e cultura. Questa, senza retorica, potrebbe essere una speranza autentica».

Le donne, forti e fiere, con quella particolare bellezza mediterranea che spiccano in questo suo nuovo romanzo salveranno quel tragico e meraviglioso mondo «composto di razze diverse costrette a vivere in un fazzoletto di argilla» che lei descrive nel romanzo?

«Ho lavorato intensamente per quattro anni, per penetrare l’universo femminile calabrese, scoprendo, confesso, una forza tenace, paziente, possente, che ha la potenza delle fiumare in piena e la capacità di tentare e ritentare senza posa, come le onde dello Jonio, la mutazione di un corso che sembra segnato. Donne che si fanno dio e fato per disarmare fratelli stupidamente e inutilmente divisi, che tanto, troppo, sangue hanno fatto scorrere e versato».

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Il libro

Nel segnodella vendetta

Nelle piane dell’Allaro crescono – giocando come tutti i bambini a “saltozoppo” – Julien Dominici e i gemelli Agnese e Alberto Therrime, le cui famiglie sono nemiche e rivali da sempre...

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Foto: un'immagine tratta dal film "Anime nere"

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