Almeno due volte nella sua vita Alain Delon ha dovuto sconfiggere il fantasma della depressione e l'angoscia del tempo che passa. Adesso, alla vigilia del suo ottantesimo compleanno (è nato l'8 novembre 1935 a Sceaux nell'Alta Senna) si vede costretto alla sfida più difficile del suo lungo autunno da patriarca solitario: sopravvivere al suo mito senza farsi schiacciare.
Divide spesso la scena teatrale con la giovane figlia Anouchka, si è riconciliato con il primogenito Anthony, ha regalato agli amici la maggior parte degli oggetti che scandirono i suoi trionfi, ha venduto la maggior parte delle sue proprietà, vive in solitudine tra la Svizzera (di cui è cittadino dalla metà degli anni '90) e la Francia profonda, nella vasta proprietà dove ha sepolto i suoi cani (ben 45) e ha preparato la cappella funebre per sé e per le donne e i figli che vorranno ritrovarlo, un'ultima volta. E' un crepuscolo difficile per l'attore che dominò il cinema europeo per oltre 30 anni; Delon infatti è stato (ed è) un'icona, un marchio di successo, un mito degno delle star hollywoodiane. Figlio del piccolo proprietario di un cinema di provincia e di una farmacista, viene abbandonato dai genitori divorziati ad appena quattro anni. Dato in affidamento, cresce da giovane ribelle, costantemente punito a scuola, insofferente della disciplina e della nuova famiglia della madre in cui non si ritrova.
A 17 anni si arruola, prima del tempo, in marina e finisce a Saigon, con una ferma prolungata a cinque anni perché quasi la metà la trascorre in cella di rigore. Finalmente congedato nel 1956 si annida nella Parigi bohemienne di Montmartre facendo mille mestieri e rischiando di imbrancarsi nelle peggiori compagnie. Lo salvano la passione per una giovane attrice (Brigitte Auber) e l'incontro occasionale con Jean-Claude Brialy che, colpito dalla sua bellezza, lo invita al Festival di Cannes e lo incoraggia a tentare la carriera del cinema. Irrequieto com'è, il giovane cerca di mettere radici a Roma dove trova ospitalità presso il fotografo Gian Paolo Barbieri, ma rifiuta la proposta del tycoon David O'Selznick che gli offre un contratto in esclusiva a Hollywood.
Invece torna a Parigi e accetta la proposta di Yves Allegret che lo sceglie per "Godot" con Edwige Feuillière e lo propone poi a suo fratello Marc per "Fatti bella e taci". E' il 1958 e su quel set il giovane attore incontra Mylène Demongeot (l'eterna rivale di Brigitte Bardot nello star system degli anni '50) e il suo amico ed eterno rivale, Jean-Paul Belmondo. I suoi primi film sono lontani dal grande successo, ma gli bastano per farsi notare da René Clement che nel 1960 gli offre il ruolo della vita: il giovane Tom Ripley in "Delitto in pieno sole" dal romanzo di Patricia Highsmith. E' un autentica esplosione, un terremoto artistico e commerciale che nella vita di Alain Delon si lega alla travolgente passione per Romy Schneider, conosciuta due anni prima sul set di "L'amante pura". Insieme i due conquistano in breve tempo Parigi, la Francia, il cinema, la notorietà. Tornato in Italia, nello stesso 1960, trova la conferma artistica grazie a Luchino Visconti in "Rocco e i suoi fratelli" per poi incontrare Michelangelo Antonioni ("L'eclisse", 1962) e trionfare con "Il Gattopardo" (Palma d'oro a Cannes nel 1963).
Nello stesso anno corona il suo sogno infantile di rivaleggiare con Jean Gabin grazie a Henri Verneuil che lo dirige in "Colpo grosso al casinò" e lo inizia al genere del "polar" (incrocio di noir e poliziesco) che sarà il marchio di fabbrica per tutta la carriera di Delon. La lista dei suoi film (e successi) per tutti i vent'anni successivi è impressionante: basti pensare al sodalizio con Jean-Pierre Melville (da "Frank Costello" a "I senza nome"), alla rivalità spettacolare con Belmondo ("Borsalino"), alla sequela infinita di capolavori di genere diretti da Jacques Deray, tra cui spicca nel 1969, il nuovo incontro artistico con Romy Schneider (da cui si è separato nella vita) in "La piscina". Attore poliedrico, dal fisico atletico che esalta in kolossal come "Il tulipano nero" e "Zorro", lavoratore frenetico (95 film come attore, 30 come produttore, tre come regista), Delon conserva però una segreta passione per il cinema d'autore con incursioni memorabili come "La prima notte di quiete" di Valerio Zurlini (1972), "Mr. Klein" di Joseph Losey (1976), "Un amore di Swann" di Volker Schlondorff (1984), "Nouvelle Vague" di Jean-Luc Godard (1990).
Altrettanto lussureggiante è la sua vita privata tra amori folli (Nathalie Delon, Jill Fouquet, Romy Schneider, Nico, Dalida, Mireille Darc, Rosalie Van Breemen), figli sovente trascurati (ben otto alla fine, più uno mai riconosciuto), speculazioni di dubbia origine, passioni pericolose (i cavalli, la boxe, il gioco), rischiose amicizie con esponenti della malavita e perfino un paio di noie con la giustizia come nel misterioso assassinio del suo body-guard, Stevan Markovich. In politica si è sempre dichiarato conservatore, venerava il Generale De Gaulle, è stato amico di Jean-Marie Le Pen, ha ricevuto la legion d'onore da Jacques Chirac, ma tra i suoi grandi amici ha sempre annoverato uomini della sinistra da Luchino Visconti a Jack Lang, da Bernard Henri-Levy a Joseph Losey. L'ultima volta al cinema, con un guizzo autoironico, è stato un beffardo Giulio Cesare in "Asterix alle Olimpiadi". Oggi Alain Delon si guarda indietro e combatte il tempo che passa. "Ho pensato spesso al suicidio e vedo bene la scena - ha detto - e farlo è un gioco da ragazzi. Il difficile non è questo, è riflettere per non passare all'azione". A 80 anni l'eterno ragazzo dal ciuffo ribelle deve girare lo sguardo e guardare avanti. Sarà la sua ultima battaglia, forse la più bella.
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