«Siamo della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni», scriveva Shakespeare. Una sostanza impalpabile, intima, che non può essere catturata. Può essere raccontata, di certo, con la parola o con la scrittura. Può essere altrettanto rappresentata, attraverso le immagini. Ma la realizzazione di un film è ancor oggi un procedimento molto oneroso. Però l’evoluzione della tecnologia sta spianando la strada a un’autentica rivoluzione. Ne è fermamente convinto Giuseppe Tornatore, che ha concluso la sua «lectio magistralis» rievocando da par suo l’epistolario tra Franz Kafka e l’amata Milena. Un Kafka, in un futuro non molto lontano, secondo Tornatore potrà scrivere alla sua Milena una mail di questo tenore: «Ho fatto un bellissimo sogno. Te lo allego».
È stata la degna fine, emozionante, della cerimonia di conferimento al regista premio Oscar del dottorato di ricerca honoris causa in Scienze storiche, archeologiche e filologiche, che si è svolta ieri mattina in un’affollatissima Aula magna dell'Università peloritana. Un dottorato conferito, verrebbe da dire, a furor di popolo. Perché forte e palpabile è stata l’ondata di affetto e sincera ammirazione verso Tornatore che, sebbene avvezzo a riconoscimenti e premiazioni, non ha nascosto di sentire «una grande responsabilità», un pungolo per continuare a creare le sue opere con rinnovata intensità e ancor più accurata precisione.
La tecnica e il rito, rievocando il titolo di un bel film di Miklos Jancso, potrebbe essere la sintesi della celebrazione per il regista di Bagheria, ma ancora una volta messinese d’adozione. Ogni cosa è apparsa elettrizzante: la «ritualità» del coro universitario che intonava l’inno «Gaudeamus igitur» durante la sfilata, solenne, dei pro-rettori, del Senato accademico, del decano – in toga e tocco –, del direttore generale Franco De Domenico e conclusa dal rettore Pietro Navarra in ermellino che accompagnava il “dottorando” Tornatore. E poi la “tecnica”, veramente stimolante, delle prolusioni accademiche. La prima, molto incisiva e applaudita, del direttore del Dipartimento di civiltà antiche e moderne Mario Bolognari, che ha sottolineato come Tornatore abbia affrancato la Sicilia «dagli stereotipi che le aveva cucito addosso il cinema italiano degli anni Cinquanta e Sessanta», concludendo con l’auspicio che il maestro del cinema continui a «narrare noi stessi, con la coscienza critica che la narrazione in sé contiene e con la poesia che deve farci sognare un futuro di riscatto».
La seconda, assai apprezzata per l’efficacia dell’analisi, la «laudatio» del coordinatore del dottorato prof. Vincenzo Fera, che ha descritto il processo creativo del film da parte di Tornatore cogliendo, da filologo, i tratti fondamentali che caratterizzano la genesi di un’opera letteraria. E mettendo in evidenza il genuino spirito da «ricercatore» del regista: «Per uno spirito radicato nella storia e nella geografia dell’isola, era inevitabile che il reticolo culturale della ricerca gravitasse sull’immensa letteratura che dall’antichità classica all’età contemporanea ha investito la Sicilia».
Ma la filmografia di Tornatore, come risulta dalla motivazione del dottorato, contiene anche «la stessa archeologia, apparentemente più distante, ma in realtà onnipresente come scienza della memoria». Tutto ciò basterebbe ampiamente a legittimare un titolo accademico. Ci sono però, soprattutto, le immagini di Tornatore, indelebili e ben conosciute dai cinefili di tutto il mondo, riproposte in un bel lavoro di montaggio a cura di Ninni Panzera e Fabio Schifilliti, in cui si evidenzia anche il particolare legame con Messina del neo dottore di ricerca. «Mi ero iscritto – dice Tornatore prima della cerimonia – a Lettere moderne. Soltanto iscritto. A mio padre avrebbe fatto piacere vedermi laureato. Tuttavia con lo studio ho sempre avuto un bel rapporto. Anzi, se potessi scegliere, con un’ipotetica macchina del tempo, un bel periodo della mia vita, sarebbe senz’altro quello trascorso al liceo classico “Francesco Scaduto” di Bagheria».
Innatamente umile e modesto, nel suo discorso in Aula magna – a braccio ma sempre meticoloso – Tornatore ha voluto trasmettere l’ineffabilità della «magia» della trasformazione di un racconto in immagini in movimento. Una magia impossibile da spiegare. «Nel 1990 – ricorda Tornatore – a Hollywood nella stessa serata in cui fu premiato “Nuovo cinema Paradiso” fu assegnato l’Oscar alla carriera al grande Akira Kurosawa, che disse: ho 80 anni, ho diretto 28 film, ma ancora non so definire l’essenza del cinema».
La Settima Arte è la più giovane e anche la più costosa. Uno scrittore, ribadisce Tornatore, può pubblicare liberamente le sue storie: «Un regista invece deve confrontarsi anzitutto con un produttore, convincerlo a finanziare il film, spesso affidandosi soltanto al racconto verbale, perché quasi nessuno dedica più tempo alla lettura delle sceneggiature». E poi, rivivendo implicitamente la sua carriera, a un regista tocca anche dover affrontare «fisicamente» i sopralluoghi, gli imprevisti, i distributori, gli avvocati. Tutto ciò però, secondo Tornatore, sta per cambiare definitivamente grazie alla tecnologia.
Da autentico amante, fin da bambino, dell’arte delle immagini in movimento, Tornatore sa benissimo che cinema e tecnologia camminano in parallelo. Paradossalmente, quando il cinema era muto, le parole avevano una potenza insita nella pellicola stessa perché erano immortalate nelle didascalie. Poi arrivò il sonoro. Poi il colore, quindi altre tecniche di ripresa e di proiezione. Adesso l’avvento del digitale farà sì, ad avviso di Tornatore, che ciascuno potrà creare i propri film praticamente a costo zero. Senza muoversi da casa sarà possibile scegliere qualsiasi ambientazione, modificarla, campionare voci e volti di attori, anche celebri, e farli recitare. E questa previsione acquista un valore supplementare perché non arriva da un «nativo digitale», né da un appassionato di tecnologia. «Ricordo – annota autoironicamente Tornatore – il mio incontro con Gabriel García Márquez che mi chiese: “Tu usi il Mac o il pc?”. Io gli risposi che ancora scrivevo le mie sceneggiature con la macchina per scrivere e lui mi disse: “Cretino. Il procedimento creativo è uguale, ma col computer si impiega meno tempo”».
Piena fiducia, quindi, nella «rivoluzione» imminente. Nessuna nostalgia per il passato, ma la memoria è doverosa. «La mia filmografia – dice Tornatore dopo la cerimonia – è zigzagante, perché mi piace progettare ogni film come se fosse la mia opera prima. Non amo ripetermi. Avevo la consuetudine di far vedere i miei nuovi film, in proiezione riservata, a Francesco Rosi, Eugenio Scalfari ed Ettore Scola. E ricordo che “La migliore offerta” fu l’ultimo che feci proiettare in pellicola. E al termine loro mi raggiunsero in cabina di proiezione con la voglia di discutere su cosa ha rappresentato, per tutti noi, la pellicola».
Ormai la pellicola non si usa più. Ma i film continueranno a esistere. Anzi, tra poco potremo diventare tutti registi. Pur senza l’estro artistico di Tornatore.