Ha chiuso con numeri da record la “passerella” di Christo sul lago d’Iseo: più di un milione e 200mila persone hanno percorso i “Floating Piers” in sedici giorni. Tutti insieme appassionatamente a passeggiare sui pontili rivestiti di plastica gialla, ondeggiando, a qualunque orario. E non è finita qui: la regione Lombardia ha spiegato che, «per sfruttare bene l’evento» saranno organizzate mostre fisse e itineranti, con video, foto e interviste «raccolte in un virtualbook dai social e dal web». In pratica, l’evento e la sua prosecuzione online, nell’epoca della riproducibilità... del reale nel virtuale, all’infinito.
In questi sedici giorni, gli scontri tra le opposte fazioni della folla entusiasta e dei (pochi, invero) avversatori dell’opera. Quei pochi non troppo convinti dall’opera in sé, come costrutto artistico, e dall’opera come gigantesca installazione rimovibile «senza danno per l’ambiente», stando a quanto promesso dall’artista. I 220mila cubi di polietilene, i chilometri di tessuto in nylon, gli ancoraggi di cemento (200 ancore di 5,5 tonnellate l’una) saranno infatti «smontati e riciclati». Che poi questo avvenga dentro un lago con un suo specifico ecosistema – attorno e sopra il quale, peraltro, si è verificato un affollamento straordinario, che ha saturato in ogni modo spazi e ambiente – non sembra essere un problema per nessuno.
Ma quello che più fa riflettere è l’entusiastica, acritica, collettiva adesione a un’orribile modalità di “eventizzazione” dell’arte. Spacciate per «evento artistico irrinunciabile» una passeggiata su balle e teli di plastica e riempirete le passerelle tanto da richiedere il servizio d’ordine; annunciate gli scrittori (meglio se stranieri) come superstar e magari organizzate loro attorno un’ “apericena” e riempirete gli stadi (o i teatri antichi). Ormai si parla solo in termini di “eventi” e conteggio delle presenze, secondo una “logica da auditel” che è ripugnante e pure profondamente diseducativa. Sempre più si chiede alle opere, alle mostre, agli autori d’intrattenerci, di distrarci e, se possibile, darci la sensazione di star facendo qualcosa di «fighissimo», che potremo poi postare sui nostri social moltiplicandone l’effetto. Tanto, poi, tutti quelli che affollano i festival letterari si guarderanno bene dal comperare libri (o avremmo risolto la crisi dell’editoria), e quelli che passeggiano sul nylon forse non sono mai entrati in un museo.
E la Bellezza? Quella che il lago d’Iseo aveva già per i fatti suoi, prima che Christo andasse a stenderci i suoi teli di nylon giallo e che continuerà (speriamo) a esistere anche dopo, quando non sarà più oggetto di famelico, distruttivo entusiasmo?
La plastica sulle acque, peraltro, in questo momento è uno dei peggiori problemi di questo mondo, non un suo trasgressivo ornamento, da “consumare” in gita sentendosi tutti artisti. Muoverne milioni di tonnellate, al costo di milioni di euro (15, e che non siano stati dei contributenti non fa grande differenza), per invadere scenari costruiti dalla natura nei millenni, senza porsi alcuna domanda, senza fermarsi davvero a guardare, ad ascoltare, è francamente un gran brutto spettacolo.
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