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Perché leggere i classici? Per essere umani. E forse felici

Perché leggere i classici? Per essere umani. E forse felici

Sono bistrattati, esclusi, emarginati. Il mercato li disdegna, i lettori li dimenticano, i programmi scolastici tendono a frammentarli e polverizzarli. Eppure dimostrano una vitalità incredibile, dalla quale dovremmo prendere esempio per tutte le forme di resistenza, civile culturale umana, a cui ogni giorno siamo chiamati. Stiamo parlando dei classici. Proprio loro: quelle opere che, per riprendere la bella definizione di Italo Calvino, «non hanno mai finito di dire quello che hanno da dire». Anche se hanno secoli o persino millenni.
Coi classici accade sempre quello straordinario fenomeno per cui avvicinandosi, toccandoli, facendoli parlare e “reagire” coi nostri sentimenti e col nostro tempo si scopre che – meraviglia! – funzionano. Sanno parlarci di noi. Sanno impostare le nostre domande fondamentali, tracciare le ipotesi di risposta, indirizzarci verso altri cammini, farci da stella polare. Ma bisogna avvicinarli, evocarli, leggerli. Una specie di uovo di Colombo: leggili, e ti apriranno mondi. Compreso il tuo.
Uno dei più strenui difensori dei classici, ma intesi come strade vive da percorrere, meglio se insieme, è sempre stato il prof. Nuccio Ordine, calabrese di Diamante, docente di Letteratura italiana all'Università della Calabria ma noto in campo internazionale per i suoi studi, in particolare su Giordano Bruno, e ormai docente cosmopolita (insignito anche della prestigiosa Legion d'Onore francese), chiamato in tutto il mondo per insegnare e tenere conferenze (è appena tornato dal Messico, e il suo recente viaggio in Brasile è stato un vero trionfo), oltre che autore di best seller e titolare di “ControVerso”, una rubrica sul settimanale “Sette” del Corriere della Sera. Eppure il suo modello, quello per cui è tanto caro ai suoi studenti e così efficace nell'interazione col pubblico, resta quello del “maestro”, dell'artigiano del sapere che ti porta a toccare con le tue mani il corpo d’un testo, per leggerlo assieme e scoprirne i sentieri, le porte, i ponti con gli altri testi e autori e mondi: quello che i buoni insegnanti sanno fare, anche senza le ribalte internazionali. E un esempio è citato proprio nell’introduzione del suo ultimo libro: Louis Germain, umile maestro che diede una possibilità d’istruzione al futuro Nobel Albert Camus, undicenne di famiglia poverissima. Camus dedicò proprio a lui il suo discorso a Stoccolma. Quel miracolo semplice della conoscenza che dovrebbe essere il primo obiettivo di qualunque sistema educativo, di qualunque “buona scuola”.
Questo è il tema fondamentale, appunto, del più recente dei libri del prof. Ordine, anch'esso avviato a diventare best seller (uscito in Francia prima che in Italia, è stato scelto dal critico George Steiner come libro dell'anno per “The Times Literary Supplement”), in linea di continuità con quell' “Utilità dell'inutile” che è stato tradotto in tutto il mondo: “Classici per la vita. Una piccola biblioteca ideale” (La nave di Teseo). Il primo per la nuova casa editrice nata da meno di un anno per volontà di Elisabetta Sgarbi, Mario Andreose e dello scomparso e compianto Umberto Eco, oltre a un gruppo di scrittori e autori determinatissimi, di cui fa parte anche Ordine.
«Le grandi concentrazioni editoriali – ci dice Ordine – livellano verso il basso la proposta culturale. Quelle finite nel grande calderone hanno sempre meno attenzione ai classici, alla saggistica di qualità; questo nuovo gruppo invece presta molta attenzione a questo profilo. Oggi non conta più il dibattito editoriale interno, si lavora solo col marketing».
Eccola, la parola (la parolaccia) chiave: marketing. Quella che pretende di colonizzare la cultura e l'insegnamento, e le cose che per loro natura non sono quantificabili, monetizzabili, commercializzabili. Come i classici, la poesia, la bellezza. La passione. Un'altra parola chiave, per Ordine. «Questo libro è frutto di letture che mi hanno appassionato e che ho proposto ai miei studenti negli ultimi 15 anni: ogni lunedì ho letto con loro una poesia e ne ho dato un breve commento. Una sorta di “regalo”, fuori dai programmi: la condivisione di una passione. I classici non si studiano per superare un esame. Leggere Omero o Montaigne non dev'essere una “tappa” da superare. I classici bisogna studiarli innazitutto perché ci parlano della vita, e possono insegnarci tanto sull'arte di vivere. C'è un serbatoio di risposte a ogni domanda. Formare gli studenti con il solo orientamento del mercato è folle. Anche perché la crisi che stiamo vivendo c’insegna anzitutto l'impossibilità della previsione: dopo sei mesi cambia tutto, le previsioni sono sconfessate. E allora?».
Pescando a caso nel libro, dove sono raccolti brevi passi di classici d'ogni tempo, da Ariosto a Stefan Zweig, passando per García Marquez e “Il piccolo principe” di Saint-Exupéry, troviamo declinati tutti i temi fondamentali dell’esistenza: l'amore e il dovere, il dolore e la violenza, il rapporto tra etica e potere. E ancora, parlando di temi attualissimi, cosa sia “contro natura” (con Montaigne), o il femminicidio (con Ariosto), o i guasti del capitalismo senza scrupoli (con Thomas Mann). Una biblioteca minima, un abbozzo di serra e giardino dell'anima, da coltivare e far crescere come meglio si crede. Un "giardino" di cui il prof. Ordine parlerà  lunedì mattina alle 6.10 alla trasmissione di Rai1 “Il caffè di Rai1”, anteprima di Unomattina dedicata a temi di arte, letteratura e cultura. La puntata sarà poi visionabile sul sito Rai. 
Ma qual è il vero programma di ogni “buon insegnamento” e “buona scuola”?
«La buona scuola – sorride Ordine – non la fanno i tablet o le slide, ma solo i buoni professori. Compito dell'insegnante non è formare premi Nobel, ma ragazzi che abbiano amore per quello che fanno. Spendere un miliardo in sussidi tecnologici? Meglio investire nella formazione dei professori. Questa sarebbe la vera rivoluzione culturale! Peraltro, è dimostrato che tanta tecnologia ha davvero un impatto positivo sul piano cognitivo? Quest'impostazione tecnologizzata e quantitativa degli studi produce davvero risultati? Pare proprio di no. Anzi, l'assunzione di strumenti in maniera del tutto acritica e passiva è del tutto dannosa: la scuola, l'insegnamento dovrebbero essere area di resistenza a questa logica, luogo di eresia, in cui almeno si mettono in discussione le logiche dominanti. Internet è prodigiosa, sul web c'è tutto e il contrario di tutto, quindi quel che occorre sono gli strumenti per comprendere, per scegliere, per capire la differenza tra i deliri e le bufale e le cose di valore: internet è fatta per chi sa. Il digitale è necessario e importante, ma dentro un contesto pedagogico che insegni a usare gli strumenti, non a essere usati da essi».
Professore, lei sa che ci sono precise proposte per ridurre l'area degli studi umanistici. Che ne pensa?
«Oggi dentro il fronte delle scienze umane in generale e degli studi classici in particolare si sta commettendo un grave errore: pensare di dover giustificare agli occhi dell'opinione pubblica perché greco e latino esistono, a cosa “servono”. Rispondere alla domanda “a cosa servono?” vuol dire fare una battaglia di retroguardia, accettare la logica utilitaristica e giustificarsi in base a quella. Amare la conoscenza è una cosa a sé, non “serve” per ottenere altro. E poi, a proposito degli studi classici, i migliori tecnici, giuristi, scienziati hanno una formazione “classica”, cioè globale, sensibile a tutto, creativa. Nel libro c'è anche una citazione di Einstein: “La scuola dovrebbe sempre avere come suo fine che i giovani ne escano con personalità armoniose, non ridotti a specialisti”. In una società in cui tutti chiedono “a cosa serve?” non c'è spazio per le cose che non tollerano questa domanda».
La letteratura, la bellezza...
«Per esempio: a cosa “serve” la bellezza? Ci educa a due cose fondamentali: al fatto che il bello appartiene a tutti, non può essere posseduto da nessuno, e che il piacere che ci sa dare è gratuito e disinteressato, e non possiamo farne a meno. Con Aristotele potremmo poi chiederci: a cosa serve la filosofia? E rispondere come lui: la filosofia non serve, perché non è servile, non serve nessuno ma insegna la libertà».
Lo scopo e non l'utile; verità è bellezza, e bellezza è verità. Lo ha detto un altro grande classico.

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