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Donald Ranvaud e le sue originali “visioni private”

Donald Ranvaud e le sue originali “visioni private”

Si è spento improvvisamente l’estro creativo di Donald Ranvaud, ad appena 62 anni. Produttore, critico cinematografico e talvolta anche attore e regista, Ranvaud è stato fulminato da un attacco cardiaco nella sua stanza d’albergo a Montreal, dove era componente della giuria del Festival cinematografico internazionale, proprio nella giornata conclusiva della kermesse.

Nato a Firenze il 5 dicembre 1953, Donald Ranvaud era un autentico cittadino del mondo. Angloitaliano, parlava fluentemente una impressionante quantità di lingue e ha vissuto praticamente in ogni continente, avendo lavorato a Milano, Londra, Berlino, Rio e in Estremo Oriente. Era animato da una sincera e positiva voglia di azione, che gli faceva superare di slancio ogni intoppo burocratico e ogni tipo di difficoltà. Riusciva con naturalezza a mettere in contatto i protagonisti del mondo del cinema, ben prima dell’avvento di Internet.

Alla sua tenacia si deve l’affermazione di tanti autori oggi acclamati, come Atom Egoyan, di cui produsse “Mondo virtuale” (Speaking Parts) nel 1989, il cinese Chen Kaige che fece conoscere in Occidente nei primi anni Novanta con film come “La vita appesa a un filo” e “Addio mia concubina”, e soprattutto il brasiliano Fernando Meirelles con i film “The costant gardener” e in particolare “City of God” che ebbe quattro nomination all’Oscar.

In questi ultimi anni Donald Ranvaud – il cui ultimo progetto, ancora inedito, è “Sweet Democracy”, diretto da Michele Diomà, e a cui ha preso parte anche Dario Fo – si stava dedicando con successo alla diffusione della cultura cinematografica in aree emarginate dell’America Latina, particolarmente in Bolivia. Un posto speciale per Ranvaud era il Festival di Taormina, dove era approdato nei primi anni 80 nello staff dell’allora direttore artistico Guglielmo Biraghi. Era il periodo in cui il Festival competitivo taorminese aveva raggiunto una posizione ragguardevole a livello mondiale. E Ranvaud era convinto che ci fossero ancora ben altre potenzialità. Sulle ali del suo entusiasmo aveva “travolto”, anche nella regia collettiva, i messinesi Francesco Calogero e Ninni Bruschetta nella realizzazione di “Visioni private”, raro esempio di film ambientato in un festival cinematografico, che poi fu anche in concorso a Torino nel 1989. Un piccolo “miracolo” produttivo, considerando che ancora non si era affermato il cinema digitale e i costi della pellicola erano tutt’altro che trascurabili.

In quel film Ranvaud appare, autoironicamente, in un ruolo molto simile alla sua vera personalità. E forse era proprio inevitabile che se ne andasse durante un festival del cinema. Ma non così presto. Troppo presto.

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