Finalmente è stato svelato. Il Terzo Segreto di Fatima della letteratura italiana: l’identità di Elena Ferrante, la misteriosa autrice che da anni si nasconde dietro i suoi fortunatissimi libri. L’ha strappata al suo insistito, caparbio anonimato nientedimeno che un’inchiesta giornalistica in grande stile, condotta da una firma del “Sole 24 Ore” con metodi che non avrebbero sfigurato nella caccia – per esempio – a un superevasore fiscale: seguire, appunto, la pista “economica” tracciando la “direzione” dei compensi erogati dalla casa editrice, la “ e/o” , e finiti nel reddito di Anita Raja, traduttrice e scrittrice napoletana, moglie e collega di quel Domenico Starnone che da tanti anni era considerato uno dei “probabili” autori che si celavano dietro il “nom de plume” Elena Ferrante. Un’inchiesta scrupolosissima, con tanto di “evidenze contabili” e visure catastali.
Da lettrice scrupolosa ed entusiasta, e dopo aver parlato della notizia bomba (rilanciata in tutto il mondo, e dibattuta per ore su tutti i social) con tanti altri lettori (non tutti ammiratori strenui della Ferrante ma certo tutti interessati alle vicende del mondo letterario), posso dire, con grande convinzione, certa di interpretare il pensiero di molti: embè? E allora?
Sapere che dove leggo, sulla copertina di quei libri, “Elena Ferrante” potrei leggere “Anita Raja” in quale modo dovrebbe cambiare il mio modo di leggerli? E invece – mi chiedo ancora – non potrebbe questa forzatura, questo eccesso di zelo, questo (a me) evidente spreco di mezzi cambiare il modo di scrivere di Elena, Anita o chiunque sia?
Quando un autore, fino ad allora sconosciuto (perché ci sono altri casi – da Stephen King a J.K. Rowling – in cui un autore già noto decide di celarsi dietro uno pseudonimo, ma quella è un’altra storia), sceglie di cominciare a pubblicare con un nome che non è il suo, e poi, all’arrivo, o meglio al dilagare del successo non ci ripensa, anzi difende la sua scelta, l’articola, la motiva, non è forse una cosa da rispettare?
Inoltre, anche se è tutto legittimo e persino investigativamente brillante, certi sistemi d’indagine non corrono il rischio di risultare – ripeto, senza infrangere alcuna legge – francamente odiosi e lesivi della privacy? A me – e, sono certa, a tanti altri lettori – non importa nulla degli immobili che la signora Raja o suo marito hanno acquistato. Mi importa, se la signora Raja è Elena Ferrante, che non ricavi da questa vicenda un turbamento che la porti a non scrivere più. Dopotutto, uno scrittore non scrive grazie a visure catastali o conti correnti, ma grazie a ispirazione, sensibilità, entusiasmi, quiete o inquietudini interiori.
La comunità dei lettori veri – lettori non di articoli di giornale sui libri, ma di libri – è sempre stata più interessata ai romanzi della Ferrante che alla sua identità, e forse è stata persino infastidita, talora, da un eccesso di spettacolarizzazione – molto mediatica, appunto – di questo “anonimato”.
Da lettrice, mi piacerebbe sapere tante altre cose. Per esempio, perché nel nostro Paese ci saranno due Saloni del Libro, a distanza di poche settimane, e nessuno al Sud. O come si dovrebbe fare perché i più forti dei “lettori forti”, che sono i ragazzini dagli 11 ai 14 anni, non si trasformino nei “lettori zero” delle età successive. Investighiamo su questo, se proprio dobbiamo.