Torniamo oggi a celebrare la Giornata della Memoria, e della tragedia che l'Europa visse e che fu spinta e stimolo per cercare un cammino di unità, di superamento di barriere e confini. Con un monito, che oggi risuona forte: mai più. Ma quanto sta accadendo, anche fuori dai confini europei, sembra ogni giorno mettere in discussione questo percorso. Come lo scorso anno, abbiamo scelto, oggi, di non pubblicare foto di campi di concentramento, di ebrei con la stella gialla o di profughi erranti per le desolate strade di un'Europa che non riconosciamo. Oggi pubblichiamo le foto dei nuovi muri, dei nuovi profughi, della lenta (ma forse non troppo lenta) gestazione di nuove ingiustizie, nuove discriminazioni.
Certo, da quando fu cotto il primo mattone (una delle migliori invenzioni umane, come il cucchiaio, la ruota, il libro) la scelta fu sempre cosa edificare e separando che cosa: la casa custodisce, il muro separa. La Storia è costellata di muri, di separazioni. La casa accoglie gli amici, ci separa dai nemici. Volevamo una casa Europa in cui essere tutti amici, e forse poter accogliere anche chi è più sfortunato di noi. Volevamo che quel mattone edificasse un luogo d'incontro, non una fortezza invalicabile.
Una delle cose peggiori della Shoah resta quella domanda che all'inizio s'aveva timore a fare, poi è stata formulata con forza crescente: voi, voi che vivevate accanto a tutto quello, voi contemporanei dell'orrore, come potevate non sapere?
La Giornata della Memoria deve servire a rammentare anche questo. Perché domani potrebbero chiederlo a noi.