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«Qui a bordo s'impara l'umanità»

«Qui a bordo s'impara l'umanità»

Non più «dirette sulla politica italiana o servizi sulla pizza e la pasta». Dopo aver lavorato per dieci anni nel nostro Paese per testate internazionali (fra cui Radio France, RFI, Agence France-Press e Mediapart), Mathilde Auvillain, giornalista francese, 34 anni, ha deciso di dedicarsi al tema delle migrazioni nel Mediterraneo centrale e dall’ottobre 2016 è volontaria a bordo della nave di Search and Rescue “Aquarius”, come responsabile comunicazione di SOS Méditerranée, l'Ong alla quale è stato da poco assegnato il Premio Unesco per la Pace, assieme al Sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini.
Quando hai deciso di “cambiare vita”?
«Non l’ho deciso, mi è capitato. Mi sono imbarcata sull’Aquarius perché avevo capito quanto fosse importante e mi mancava questa parte del racconto. Una volta visto da vicino quello che  succede, non potevo voltarmi e far finta di nulla. Pensavo fosse una storia, invece era “la” storia. Oggi, in quanto “responsabile comunicazione” dovrei sentirmi meno giornalista, invece non mi sono sentita tanto giornalista quanto adesso.»  
Cosa hai trovato a bordo?
«È un’esperienza autenticamente “umana”. A tutti i livelli.  Sono persone che sacrificano la propria carriera, a scapito anche della famiglia, per salvare altre persone. Non è una cosa che si fa per lavoro, ma per senso dell’umanità».
Eppure questa umanità si scontra troppo spesso con la morte...
«Esatto. A bordo ho avuto la sensazione di essere ai confini non solo dell’Europa ma anche dell’umanità. Vedere quei barconi galleggianti intorno al nulla, pieni all’inverosimile, vedere anche i cadaveri ti fa ripensare tutto e ti sembra assurdo che tutto ciò accada. Poi però si tende un braccio, si dice “buongiorno”, si ascoltano le loro storie, si dà loro da mangiare e da bere e, a poco a poco, torna l’umanità e i migranti riacquistano la dignità perduta».
Le Ong, come la tua, hanno permesso sinora a tanti fotoreporter e giornalisti di vedere e documentare la situazione. Quanto pensi sia difficile raccontare questo tipo di storie?
«La prima missione per noi è salvare le vite, la seconda quella di portarle al sicuro, la terza è quella di testimoniare. Raccontare questo tipo di operazioni non è semplice, per questo cerco di aiutare i giornalisti nel loro lavoro. Loro rimangono poco tempo a bordo e in quelle ore devo fare in modo che riescano a raccogliere quanto più materiale possibile. Anche se capire in pochi giorni cosa sta effettivamente succedendo è impossibile. Quello che si scopre quando sali a bordo è che la storia non è il salvataggio ma ciò che viene prima, quello che succede nel viaggio e in Libia».
Come si spiegano le recenti polemiche, dopo le affermazioni del procuratore di Catania su possibili “contatti tra alcune Ong e scafisti” e, addirittura, di finanziamenti da parte dei trafficanti?
«Ce lo chiediamo pure noi: perché queste accuse, sospetti e polemiche emergono proprio ora, dopo un anno di operato di Sos Méditerranée nel Mediterraneo e migliaia di vite salvate? Noi abbiamo sempre rispettato tutte le regolamentazioni italiane e internazionali e lo attestano tutti report ufficiali trasmessi alle autorità competenti. Il procuratore di Catania sta svolgendo, da quanto abbiamo appreso dai media, una “indagine conoscitiva”, non c’è un fascicolo aperto, né un’ipotesi di reato formulata, né avvisi di garanzia. In ogni caso, abbiamo una missione in comune con tutte le persone di buona volontà, siamo tutti in mare per la stessa causa: salvare vite umane nel Mediterraneo. Non credo che vi rendiate conto di cosa significhi salvare anche una sola vita umana, essere l’unica speranza per delle persone che hanno subito violenze inaudite nel loro Paese, nel deserto e poi in Libia, prima di essere spinti alla morte in mare da trafficanti di esseri umani. Ogni minuto perso ad alimentare e commentare polemiche e informazioni non corrette è un minuto perso a cercare di capire cosa sta realmente succedendo nel Mediterraneo e a cercare una soluzione vera alla crisi umanitaria che si consuma alle porte dell’Europa. Sarebbe invece necessario e urgente che i governi europei si attivassero per trovare una soluzione a questo dramma che continua a consumarsi ogni giorno sotto i nostri occhi».
Viviamo ormai una situazione di “emergenza ordinaria” i cui sviluppi sono incerti. Come aiutare la gente a superare i propri timori?
«Forse venire a vedere uno sbarco può aiutare a vincere le paure: sono persone a piedi nudi, stremate, che cercano il nostro aiuto. Quello che ho compreso dalla mia esperienza è che quando dai una mano, quando ti metti in gioco, ricevi molto più di quello che dai e cadono tutti i pregiudizi».

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