«Una contadora natural de historia», una narratrice nata: così Ignacio Valente, un critico cileno, salutava l’esordio di Isabel Allende dopo il suo primo romanzo, “La casa degli spiriti”. E una vera “contadora”, affascinante, viva e magica come la sua prosa, è stata Isabel Allende nella bellissima cornice del teatro greco-romano di Catania, dove è stata presentata da Antonella Ferrara, ideatrice e direttrice di Taobuk Festival, e ha ricevuto il Premio Sicilia, istituito dall’assessore regionale al Turismo, Sport e Spettacolo della Regione Siciliana, Anthony Barbagallo, per onorare le voci degli scrittori più autorevoli del nostro tempo, da Luis Sepulveda a David Grossman a Orhan Pamuk. L’evento, in esclusiva per l’Italia, è l’anteprima di Taobuk, incentrato quest’anno sul tema “Padri e figli” e che si svolgerà a Taormina dal 24 al 28 giugno.
Isabel Allende ha letto in uno spagnolo musicale e limpido la sua lezione-racconto. La sua famiglia senza dubbio è stata una famiglia speciale; se in alcune culture i figli maschi sono più importanti delle femmine non è stato così per la famiglia di Isabel. In principio vi fu la sua “abuelo”, la nonna Isabel Barros, la più piccola di dodici fratelli, una ragazza cha ad altri sarebbe apparsa strana per le sue doti paranormali, ma che tale non era per i suoi familiari. Ed era fine Ottocento, quando in Cile le signorine imparavano a pregare e a ricamare dalle suore e vivevano tra le mura delle loro case. E invece la nonna Isabel parlava con i morti, vedeva l’invisibile e sentiva le voci. E faceva spostare con le presenze fantasmatiche evocate un tavolo massiccio, ereditato poi dalla nipote Isabel, che non ha la facoltà di farlo muovere (oggi ci vorrebbero due uomini ben piazzati per riuscirci), ma ha tuttavia un dono: quello di scrivere, e perciò di sentire voci e di ripeterle nell’unico grande romanzo che scrive dal tempo della “Casa degli Spiriti”.
La casa della finzione era proprio quella dei nonni –ha detto la scrittrice cilena –, una casa pulsante nella quale si muove Clara, il primo dei suoi meravigliosi personaggi femminili, costruiti con “pezzi” della nonna. Quella nonna il cui senso della libertà e la cui fantasia passarono alla madre di Isabel, Panchita, una vita da malmaritata, ma con una “buena suerte”, e cioè fortunata con i figli. E soprattutto con Isabel con la quale sino ad oggi, più che novantenne, ha mantenuto un legame speciale.
La formula di tale legame? Amore incondizionato, complicità e tanta ironia, ha detto la scrittrice. La stessa che Isabel ha “usato” con l’amatissima figlia Paula, scomparsa nel 1992 e a cui la madre ha dedicato un fortunatissimo (e bellissimo) libro, una donna speciale, un’anima pura che viveva la realtà con lo stesso sentire spirituale della nonna Isabel. La morte prematura di Paula ha spezzato il cuore della scrittrice, ma non il legame tra madre e figlia, una catena amorosa mantenuta attraverso le generazioni, “anelli” femminili di donne, madri, figlie, nipoti, tutte unite da un indistruttibile cordone ombelicale che resiste nel corso della vita e dopo la morte.
Femminista sin da bambina, quando scoprì le femministe americane, avversa al maschilismo che vieta e opprime, ma in armonia con il mondo maschile cui riservare – ha detto – «un amore ben condizionato ma non incondizionato (non sarebbe possibile)», Isabel Allende ha conversato con la giornalista Alessandra Coppola, che le ha rivolto domande sull’amore («che è sempre un rischio, un’avventura»), sui suoi libri (un ritorno continuo sui temi amati: famiglia, amore, violenza, ingiustizia, lealtà, solidarietà), sull’America di Trump, sulla bellezza e sulla vecchiaia («l’amore non ha età, ci si innamora del corazón, del cuore, non del corpo, bisogna rimanere aperti all’amore»), sui migranti.
«Cosa pensa, lei che è stata in esilio e si è stabilita in un Paese diverso dal suo, dei migranti?» ha chiesto la giornalista. «Che non serve costruire muri o il muro che vuole Trump – ha risposto la Allende – . Ci siamo mai chiesti perché prima non c’erano migranti siriani? E perché prima non c’era gente che dal Venezuela fuggiva in Cile? Semplicemente perché non c’erano le condizioni drammatiche per farlo. Non si diventa migranti o rifugiati per piacere, lo si diventa per una triste necessità. Dunque, bisogna risolvere le situazioni per le quali si diventa migranti nei Paesi dove avvengono queste tragedie».
Sicuramente Isabel Allende ama l’America, dove vive da trent’anni, ma l’America buona e libera, quella dove alcuni giorni fa – ha raccontato da tenace “contadora” – su un bus che veniva da Portland un soldato veterano, uno studente e un poeta sono morti accoltellati per difendere tre ragazze musulmane aggredite da un suprematista bianco. E lei stessa ha creato una Fondazione intitolata alla figlia Paula, che si occupa di donne sfortunate, emarginate, perseguitate. Una bella solidarietà che unisce madri, figlie, amiche, semplicemente donne.
Al termine dell’intensa serata, durante la quale l’attrice Donatella Finocchiaro ha letto brani tratti da “Paula” e dalla “Casa degli spiriti”, ad Isabel Allende è stato consegnato dall’assessore Barbagallo il premio Sicilia, un creazione d’arte raffigurante un Colapesce, proprio mentre un gatto nero e bianco si accomodava sornione accanto al podio dal quale ha tenuto la sua narrazione. Una presenza “misteriosa” anche quella?