L’attesa, opprimente, che immobilizza nel tempo buio della malattia, il sogno, momento immaginifico di evasione e creazione, il disagio generazionale. E ancora le tragedie classiche riviste con parole e tematiche dell’oggi e le complesse questioni della genitorialità, omosessualità, in una società che ancora oggi etichetta le differenze con colpevole leggerezza. Tanti fili per un mosaico di voci, situazioni, temi squadernati durante le dense serate di Primavera dei Teatri, festival sui nuovi linguaggi della scena contemporanea, organizzato dalla compagnia Scena Verticale, arrivato all’edizione numero 18, che si concluderà questa sera.
Tra le emozioni della serata inaugurale, martedì, la riapertura del Teatro Vittoria, nel cuore di Castrovillari, dopo 31 anni di oblio. Uno spazio riconsegnato, almeno per il tempo del Festival, alla città, in trepidante attesa, riaperto alla parola, al pensiero, alla condivisione, con una promessa fatta dal sindaco di Castrovillari, Domenico Lo Polito: ritrovarlo ultimato alla prossima Primavera. Anche per questa edizione la compagnia Scena Verticale, i suoi direttori artistici Saverio La Ruina e Dario De Luca e il direttore organizzativo Settimio Pisano hanno imbastito un programma eterogeneo nelle proposte offerte al pubblico, che come sempre risponde con una entusiastica presenza, insieme ad operatori giunti da ogni parte d’Italia, critici, compagnie, in un clima sempre vitale e vibrante, tra condivisione e confronto.
Due o tre spettacoli ogni sera, tra Protoconvento Francescano, Palazzo di Città, Teatro Vittoria, le suggestive sale del Castello Aragonese ad ospitare il laboratorio “L’attore senza spettacolo”. E tante, pure per l’edizione della maggiore età, le prime e anteprime nazionali, due ieri sera: l’atteso “Il cantico dei Cantici”, portato in scena da Roberto Latini per Fortebraccio Teatro, uno dei testi più antichi di tutte le letterature imbastito attraverso una partitura che ne magnifica la forza delle parole, e “Io non sono un gabbiano”, ispirato a Cechov della giovane Compagnia Òyes. Due pure per l’intenso venerdì sera, aperto da “Tropicana” della giovane compagnia Frigoproduzioni, spettacolo che corre lungo il filo sospeso dell’inquietudine che trama le esistenze di un gruppo musicale in cerca d’identità, alle prese con un motivetto orecchiabile e un testo che annuncia un’apocalisse quotidiana: il brano Tropicana del Gruppo italiano, anno 1983.
Rap e parola frammentata, tra segni, ricordi e fatti di storia recente italiana, per l’interessante “Personale Politico Pentothal – Opera rap per Andrea Pazienza” dei Fratelli dalla Via con interventi musicali di DJ MS (Simone Meneguzzo), dei rapper Moova (Omar Faedo), Letal V (Michele Seclì), Giobba (Roberto di Fresco). Intenso, delicato, raffinato, Saverio La Ruina ha proposto nella sua Castrovillari, in una replica da tutto esaurito, l’ultimo “Masculu e fìammina”, confessione sussurrata di un figlio, che riesce a dire alla madre di essere omosessuale solo dopo la morte di lei. Come inserito in un tempo sospeso tra ricordo e condivisione, lo spettacolo, dalla precisa e potente costruzione drammaturgica, restituisce un racconto denso e profondissimo.
In prima nazionale anche “Aiace”, visto il primo giugno, di Stabilemobile, regia Linda Dalisi, con tre attori in scena, tra cui il messinese Annibale Pavone, per un confronto di identità linguistiche: ivoriana, francese, italiana. Il palermitano Riccardo Lanzarone, generoso e talentuoso, nel suo “Codice Nero”, mercoledì sera, ha affrescato l’esistenza di un uomo in attesa di diagnosi, tra festini di Santa Rosalia, incubi ed incursioni musicali.
Spazio alla Sicilia per l’ultimo giorno di festival con i Maniaci d’Amore – la messinese Luciana Maniaci e il barese Francesco D’Amore – che presentano “La Crepanza – Ovvero: come danzare sotto il diluvio” e “Lingua di cane”, spettacolo di Giuseppe Cutino, Sabrina Petix, per una produzione della Compagnia dell’Arpa di Enna.