Lunedì 23 Dicembre 2024

Se il migrante del prossimo futuro è... uno scrittore calabrese

Se il migrante del prossimo futuro è... uno scrittore calabrese

Quante volte vi è capitato, ci è capitato di passare davanti a un migrante che chiede l’elemosina? Magari stiamo entrando in un supermercato, in una boutique, in un negozio di leccornie gastronomiche. Nello stesso mondo, fianco a fianco, c’è chi vive, senza pensarci più di tanto, un tempo e un luogo di benessere garantito – sia pure con le difficoltà di oggi – , e c’è chi vive appeso a un filo, più povero dei poveri: non ha nemmeno la certezza dell’identità e dell’appartenenza. Ora pensate a quella scena quotidiana, e trasferitela in un altro Paese, non troppo distante: la Germania. Nei panni di chi entra disinvolta in un negozio di lussuose frivolezze c’è una donna ricca che vive a Berlino, Flora; nei panni del migrante (illegale), solo, povero, spaventato e nemmeno in grado di parlare la lingua del posto c’è... uno scrittore calabrese, Milo. Tutto ciò avviene in un futuro nemmeno remoto: è il 2029 e l’Europa è nel caos. La Germania resiste appena, ma a patto di difendersi con un’enorme, fortificata Barriera (così, con la maiuscola) ai confini. Fuori, l’ondata di profughi, migranti, disperati che salgono da tutti i Sud (compreso il nostro); dentro, i residenti identificati da un tatuaggio, senza il quale non ci si può, letteralmente, muovere. Anche tra loro, ovviamente, differenze di censo e di possibilità: la crisi e la miseria infiltrano anche la società meglio organizzata e più evoluta (vi ricorda qualcosa?), con sperequazioni evidentissime e crudeli.
Ecco lo scenario de “La barriera” (Fandango), il nuovo romanzo a firma dello scrittore reggino (di Melito, ma che da tempo vive e lavora a Roma) Vins Gallico, classe ’76, già autore di “Portami rispetto” (Rizzoli, 2010) e nella dodicina del Premio Strega 2015 con “Final Cut. L’amore non resiste” (Fandango), e di Fabio Lucaferri, traduttore. Vins Gallico – che oggi presenterà il libro a Reggio, alle 18, al Caffè letterario Malavenda, dialogando con Fabio Cuzzola e Gianluca Ursini, per iniziativa del circolo culturale Guglielmo Calarco – non è nuovo a tentazioni distopiche e grottesche, a strutture ardite e soluzioni bizzarre, a suggestioni apocalittiche riscattate dalla misura composta della prosa. Nel libro, che gira tutto attorno al confronto tra Milo e Flora – ciascuno dei quali è io narrante a capitoli alterni – e all’attesa del cedimento della Barriera (ma sarà vero, o sarà una leggenda metropolitana, una diceria diffusa tra i migranti?), ma anche a una pasticciatissima indagine attorno a una sparizione, la cosa più evidente è il nostro presente, apocalittico e grottesco, truccato appena da prossimo futuro. Ne abbiamo parlato con Vins.
«L'idea di guardare oltre, più in là, eventualmente indietro o avanti nel tempo – ci dice l’autore – , è uno dei compiti della letteratura. Un compito? Sì, un compito, un dovere, se si vuole fornire a chi legge una possibile chiave interpretativa del presente. Scrivere del futuro, nel caso de “La barriera” di un futuro molto prossimo, appena dietro l'angolo, è un modo per parlare di quello che a volte s'ignora oggi. È una pratica che può avere aspetti apocalittici, profetici, se pensiamo ad alcuni passi biblici, o è un gioco di enigmistica se riguarda gli aspetti della tecnologia (pensiamo a Verne e ai sottomarini, che alla sua epoca non esistevano, o ad Asimov, che prefigura il mondo di Internet e le tecnodipendenze cinquant'anni fa). Ma può essere anche e semplicemente un modo di unire i puntini e tracciare uno scenario che già oggi si intuisce. In “1984” Orwell porta alle estreme conseguenze gli orrori del totalitarismo e della mancanza di libertà, mentre in “Sottomissione” Houellebecq dà magistralmente sfogo ai suoi deliri xenofobi. Insomma, ammettiamolo, è un trucco: parli a suocera, perché nuora intenda. Crei un mondo del domani inserendo le paure e le speranze di oggi».
Qui e lì, persino in questo plumbeo scenario berlinese, affiora un lampo di Calabria. È un omaggio, o una tua precisa coordinata intima e letteraria?
«Al mio terzo romanzo, anche se in questo caso a quattro mani, continuo a parlare di Calabria. In “Portami rispetto” era il cuore della storia, in “Final Cut” una sorta di luogo di meditazione, di riposo, mentre ne “La barriera” è una terra devastata dai cambiamenti climatici e dalla crisi finanziaria. È proprio l’inizio del viaggio, della migrazione di Milo, uno dei due protagonisti. Non faccio omaggi, non regalo nulla. La barriera non è un libro sciovinista, non vuole rendere orgogliosi dei propri luoghi natali. Si nasce per caso in un posto, senza avere meriti e demeriti. Però è vero che poi quel luogo, quella terra, ti formano, entrano dentro di te, e io per ora non riesco a immaginare nessuna mia narrazione che escluda la Calabria. Anzi, il prossimo romanzo è quasi tutto ambientato a Reggio».
La struttura del romanzo è molto particolare: Milo e Flora a capitoli alterni, incarnando due punti di vista opposti, e pure un “coro” con un protagonista diverso...
«Milo e Flora sono due identità, due singoli, due storie personali. Milo è una specie di Ulisse che vuole trovare salvezza in Germania, Flora è una Penelope che ambisce a controllare tutto. Il coro invece è comunità, è il racconto che collega quel futuro del 2029 a oggi, attraverso l'esperienza di un ragazzo che lascia il Senegal per ottenere una vita migliore. Quel ragazzo, Souleymane, è uno dei tanti migranti che si affollano dietro la barriera nella speranza che prima o poi si apra un varco. Il coro è la comunità che parte, ma anche quella che respinge. Ed è un tocco di grecità, quindi Magna Grecia, quindi di nuovo Calabria, Sicilia, e teatro. In fondo tutti noi siamo spettatori davanti all'attuale fenomeno migratorio».
C’è un passaggio sulle donne, nella voce di Milo, che ha un sapore maschilista. Curioso, per un personaggio così evoluto.
«Quando con Fabio abbiamo creato Milo volevamo un narratore che non fosse eticamente corretto, anzi volevamo un personaggio che raccontasse la sua storia umana, con i suoi difetti, le sue rozze visioni, le prese di posizione ben poco emancipate. Volevamo che anche Milo avesse le sue barriere dentro la testa. Una di queste è senz'altro il sessismo. Barriera che mi sembra molto diffusa fra l'altro».
Il passaggio chiave del libro, il cardine, è nella frase che appare sulla quarta di copertina. Milo cerca aiuto e chiede a Flora, che, pur presentandosi, e sentendosi, come creatura fortemente empatica e spirituale (la sua fede buddista prende molte pagine), non si mostra davvero accogliente, anzi risulta di un egocentrismo persino molesto: «Quale personale visione dell’umanità ti impedisce di farlo?». È il punto chiave del problema della Barriera, delle barriere: quali visioni dell’umanità si fronteggiano oggi, e come la letteratura può aiutarci?
«La letteratura può. La letteratura deve. Forse aiuterebbe leggere o rileggere “Se questo è un uomo” di Levi. Non voglio fare prediche enfatiche, ma le barriere nazionali, i confini hanno una mera utilità organizzativa. Anche se parliamo lingue diverse, se abbiamo tradizioni diverse, apparteniamo a una sola nazione: quella del genere umano. E non ci sarà mai nessun PIL da difendere, nessuna problema di disoccupazione che possa giustificare l'indifferenza rispetto alle vite altrui, alle morti altrui. “Somos todos clandestinos” è un modo coreografico e provocatorio di dire che siamo tutti umani, cosa che troppo spesso dimentichiamo».

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