«La verità travalica la realtà, la meraviglia si annida fra le pieghe di ciò che accade tutti i giorni, dobbiamo solo saperla interpretare». Lo scrittore e saggista catanese Pietrangelo Buttafuoco – editorialista per Radio24 e firma su diversi quotidiani, oltre che volto noto in tv – torna in libreria con “I baci sono definitivi” (La Nave di Teseo), un libro denso d’amore e di storie, abbandoni e illusioni, rileggendo la realtà e trasfigurandola, chiamando in causa la Natura, il dio Mercurio e il Diavolo, fra rimandi cinematografici e letterari. Sono rapidi racconti di un osservatore, un diario di viaggi lungo la metropolitana di Roma e poi ancora a Fiumicino, Teheran, sulla nave traghetto per Messina e sulla strada statale 121 per Agira.
Ogni mattina, all’alba, lo scrittore – celebre per “Buttanissima Sicilia” (2014) e “Le uova del drago”(2005) – zaino in spalla si tuffa nella metro, osserva i viaggiatori, prende nota ma poi «lascia emergere la meraviglia», trasfigura i fatti fra vero e verosimile, del resto – assicura alla Gazzetta – «streghe, santoni e maghi esistono, sono intorno a noi ogni giorno».
Un libro ricco di storie, incontri e abbandoni. Com’è nata l’idea di scrivere un libro lasciando aperta la porta alla meraviglia?
«L’idea di rileggere e interpretare la realtà mi ha bussato alle spalle, mi ha spinto ad aprire gli occhi. Attraversando la città, infilandosi nei cunicoli sotterranei per raggiungere la metropolitana, giocoforza ci si rende conto che le vite degli altri sono pronte a svelare qualcosa di più profondo. Tutte le cose belle, gli incantesimi e le favole, sono parte del mondo reale ma fanno fatica a saltarci agli occhi. Quando vi riescono, una verità smagliante ci abbaglia. Del resto Alice trova la meraviglia solo quando supera la soglia della realtà».
“I baci sono definitivi” è un’esaltazione del cuntu, della narrazione allo stato puro?
«Sì ma questo cuntu è inglobato nella cronaca, nel dipanarsi della realtà sotto gli occhi di un viaggiatore che, dall’alba a notte fonda, si muove in metropolitana o fra le strade statali siciliane. Chi fa il mestiere di giornalista non ha orari e del resto il motto recita “è a matinata che fabbrica ‘a iurnata”».
Un libro perennemente in oscillazione fra verità e sogno?
«Credo che tutto sia visibile, ciò che è arduo è scovare la meraviglia fra le pieghe della quotidianità».
Fra le pagine racconta numerosissime storie d’amore e abbandono, uno sfiorarsi che talvolta dura appena il tempo d’uno sguardo.
«Raccontare l’amore ha un valore assoluto, l’istinto e il cuore possono superare ogni tipo di resistenza. Tutti noi possediamo un percorso metafisico interiore che non può essere trattenuto, sarebbe una fatica inutile, come se provassimo a trattenere del fumo dentro una scatola. Ma dobbiamo prendere coscienza di questo nostro lato metafisico che si esprime attraverso la poesia e i sentimenti».
A pagina 116 racconta della nostra peste odierna, la paura del terrorismo, della diversità. Da viaggiatore, ancor prima che giornalista, avverte una forte tensione?
«Il racconto della realtà, la sua osservazione diretta rivela un brivido ben più forte rispetto alle immagini che ci riportano i telegiornali e i suoi resoconti. Abbiamo sempre avuto paura di ciò che non conosciamo. Ma attorno allo spleen della modernità affollata, ai ritmi selvaggi in cui annaspiamo, mi sembra che la natura lavori sottotraccia, portando alla luce inevitabilmente le nostre carenze, la debolezza della nostra società. Siamo ogni giorno dinnanzi ad una lotta senza tempo fra l’uomo e la natura».
Il titolo, “I baci sono definitivi”, cosa racconta?
«Il bacio ha una potenza ben maggiore rispetto a quella di qualsiasi tatuaggio. L’apostrofo rosa fra le parole “t’amo”, suggella tutto nel nostro cuore».
C’è anche una scena sulla nave traghetto, in cui lei evoca una strega…
«Ma le streghe esistono, al pari degli sciamani e dei maghi. È questione di esercitare lo sguardo per cogliere queste presenze. La verità travalica la realtà».
Ha la sensazione che viaggiare in metro, anche per via della prossemica, ci renda tutti uguali almeno per il tempo di un tragitto?
«Certamente. E dobbiamo necessariamente richiamare in causa “’A Livella” di Totò e i suoi versi immortali».
Forse per questo i politici difficilmente prendono i mezzi pubblici?
«Non li prendono mai perché è un vezzo provinciale. “Il vero signore viaggia in tram”, come diceva Giovanni Ansaldo».
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