Ci sono libri in qualche modo capitali: segnano un punto, o un mondo, o una svolta. Diventano parte fondante di un’identità, marcano un’appartenenza. Classici tra i classici, indispensabili in una libreria dell’anima. È il caso de “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Libro dalla genesi lunga, dalla storia tormentata, ma dall’enorme successo. Tocca al Gattopardo e al suo geniale autore – fiera e malinconica figura di nobile decaduto e intellettuale appassionato, con un rapporto ombroso e viscerale con le lettere, la scrittura, la letteratura – inaugurare una preziosa collana di piccoli volumi diretti ai ragazzi, “Scrittori del ’900”, con cui l’editrice La Nuova Frontiera intende fare la cosa più necessaria in questo momento: seminare nuovi lettori, far crescere la consapevolezza dei lettori esistenti, suscitare passioni. “Il Gattopardo raccontato a mia figlia”, della docente e saggista siciliana (vive ad Acireale) Maria Antonietta Ferraloro, con illustrazioni di Giulia Rossi, centra tutti questi obiettivi. Ne abbiamo parlato con l’autrice (che domani, martedì, nell'ambito di Naxoslegge, incontrerà il pubblico di lettori a Messina, alla libreria Feltrinelli Point, alle 18.30).
Come nasce questo libro?
«Il piccolo libro è l’imprevedibile frutto di un doppio cortocircuito affettivo. Il mio desiderio, quando ho iniziato a scriverlo, era semplicemente quello di offrire una mappa a mia figlia, che le consentisse di “approdare” a questo straordinario scrittore. Il primo nucleo era uno smilzo manoscritto, con disegni fatti da amici e fotogrammi tratti dal film, che ho regalato a Giulia per i suoi 9 anni – ore ne ha 12. Proprio perché sono un’insegnante mi è parso del tutto naturale “filtrare” Il Gattopardo per la mia bambina. Provare a tramutare un’opera così bella ma complessa in un racconto che potesse incuriosire anche una piccola lettrice come lei. E farle conoscere un po’ più da vicino un autore grande, ma per certi versi sfuggente, ancora “misterioso” - come lo ha definito il suo maggiore biografo, Andrea Vitello».
Il Gattopardo è un suo antico amore…
«L’incontro con questo capolavoro, poco fortunato a dire il vero (come racconto nel libro per mia figlia) risale agli anni dell’adolescenza. Allora non mi piacque. Lo ripresi al tempo dell’università e fu subito amore travolgente. Come studiosa, mi occupo di Tomasi dal 2008, anno in cui ho vinto un dottorato di ricerca all’Università di Catania. Gli ho dedicato due saggi: Tomasi e i luoghi del Gattopardo e L’opera – Orologio (entrambi Pacini, 2014); sono tra le curatrici del bel volume Itinerari siciliani (Historica, 2017), nato dall’esperienza del progetto “In viaggio con Tomasi”, che Fulvia Toscano ed io abbiamo ideato e portato in giro per tutta la Sicilia, in numerose scuole».
C’è una pseudo polemica sui classici in corso: se siano davvero indispensabili, se siano (orrore) “rottamabili”, se siano un “obbligo” da certificare. Ma nello stesso tempo si parla della assoluta necessità di proporli nel modo giusto ai giovani. Lei cosa ne pensa?
«Ben vengano le polemiche se servono a riportare al centro del dibattito le urgenze educativo-didattiche a cui dovrebbe fare fronte la nostra scuola in tutti gli ordini: dalle elementari all’università. La Letteratura è sempre uno spostarsi altrove. Un mondo che rifiuta il faticoso, necessario, vitale viaggio del leggere è un mondo che non va da nessuna parte. I classici ti costringono infatti a viaggiare continuamente: da un libro all’altro; da un’emozione all’altra; verso una nuova verità. Ti mettono a contatto con le radici del mondo, ti disvelano la complessità del reale; sono specchio impietoso delle emozioni più segrete del nostro animo. Poiché nel mondo di oggi sembra prevalere la presunzione assurda che si possa “ragionare” in 140 caratteri, la prima cosa che va fatta, secondo me è contrastare la povertà lessicale dei nostri ragazzi (e di una esercito immenso di adulti). Educarli o rieducali al piacere della lettura di un classico sarà il passo e la sfida successiva. Il compito della scuola è quello di far circolare i classici nello spazio letterario dei ragazzi, con tutte le strategie didattiche possibili: iniziare col proporre testi più vicini al loro mondo e alla loro età; coinvolgerli in letture ad alta voce; invitarli alla riscrittura di brani o dell’opera o anche una traduzione in altri linguaggi - penso ai book trailers, ad esempio. Anzitutto suscitare in loro curiosità. Solo dopo sarà possibile promuovere una graduale educazione al valore della potenza figurale ed estetica della letteratura».
Cos’ha da dirci oggi il Gattopardo?
«Come tutti i grandi capolavori, anche Il Gattopardo è uno di quei libri che ti cambiano la vita. Capace di consegnarti i suoi doni misteriosi in ogni stagione dell’esistenza. È un romanzo sulla morte; sull’amore; sulle delusioni che ci attendono al varco. Un’opera-mondo che ti parla con la stessa intensità di politica e fratellanza; di piccoli uomini e grandi personaggi. Per quanto riguarda i ragazzi, può guidarli a conoscere meglio uno dei periodi più importanti della storia d’Italia; irretire i loro piccoli cuori con la travolgente storia d’amore tra Tancredi e Angelica; fargli conoscere più da vicino alcuni strani meccanismi politici delle nostre società; e ultimo, ma non certo per d’importanza, educarli al valore della letterarietà, cioè alla bellezza della Letteratura».
Come ha reagito sua figlia a questo libro?
«Come ci ricorda Daniel Pennac, il verbo leggere come il verbo amare non tollera il modo imperativo. Non ho mai costretto i miei allievi, né mia figlia, a portare a termine la lettura di un testo che non li incuriosisce, o appassiona. L’ho coinvolta però nel “gioco della scrittura”. Alla fine, quando le ho consegnato in lettura le prime pagine del manoscritto, l’ho invitata a cerchiarmi tutte le parole che non conosceva e tutte le frasi che non le sembravano abbastanza chiare. La parole più sottolineata era “pigra”. C’è un punto infatti, in cui mi rivolgo a lei come alla mia “dolce, pigra lettrice”. Mi ha detto che non si sentiva per nulla pigra: era solo una ragazzina che spesso non trovava libri interessanti. Mi piacerebbe che i ragazzi, dopo aver sbirciato il mio libricino, si sentissero invogliati a leggere “La sirena”, il racconto di Tomasi che oramai sempre più critici annoverano tra i più belli della letteratura mondiale. E che gli adolescenti, invece, iniziassero a leggere, con l’aiuto dei loro professori, i racconti letterari di Tomasi, cioè le sue bellissime Lezioni. La passione, l’amore assoluto che lo scrittore nutriva per i libri sono racchiusi in queste pagine ancora poco conosciute».
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