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L'Italia e il lavoro: lo raccontano a teatro autori da tutte le regioni

L'Italia e il lavoro: lo raccontano a teatro autori da tutte le regioni

Roma
Un affresco dell’Italia crudo e drammaticamente reale, un percorso d’indagine a partire dal tema del lavoro, sviscerato, da Nord a Sud, attraverso le lotte sindacali di ieri e di oggi, il terribile dilemma tra lavoro e salute, le storie di chi opera alla frontiera, le vicende di quotidiano sfruttamento e malaffare. Tante facce di un Paese in cui il lavoro resta un nodo cruciale che la politica degli ultimi decenni non è stata in grado di dirimere, proposte insieme in “Ritratto di una Nazione – L’Italia al lavoro. Venti quadri teatrali dalle regioni del Paese”, spettacolo con cui il Teatro di Roma ha aperto la stagione al Teatro Argentina, progetto del direttore Antonio Calbi e di Fabrizio Arcuri, sostenuto dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo.
Un polittico di 10 “scene”: 8 regioni, il prologo “Risultato da lavoro” scritto dal premio Nobel Elfriede Jelinek, un pezzo sulle lotte sindacali in Italia di Wu Ming 2 e Ivan Brentari, un’opera polifonica montata insieme dal regista Arcuri, dal dramaturg Roberto Scarpetti, con la splendida colonna sonora live dei Mokadelic (gli autori della superba colonna sonora di “Gomorra”), il set virtuale di Luca Brinchi e Daniele Spanò.
Voci, visioni, lingue, poetiche di autori e drammaturghi diversi per generazione, indole, scrittura: Marta Cuscunà con “Etnorama 34074” (Friuli Venezia Giulia), Davide Enia con “Scene dalla frontiera” (Sicilia), Renato Gabrielli con “Redenzione” (Lombardia), Alessandro Leogrande con “Pane all’acquasale” (Puglia), Marco Martinelli con “Saluti da Brescello” (Emilia Romagna), Michela Murgia con “Festa nazionale” (Sardegna), Ulderico Pesce con “Petrolio” (Basilicata), il dittico di Vitaliano Trevisan con “North by North-East. Coffee shop” e “Start-up” (Veneto). Era prevista anche la partecipazione, per la Calabria, del drammaturgo di Castrovillari Saverio La Ruina, premio Ubu, con “30 minuti”, ma, assente per motivi familiari, sarà protagonista dello spettacolo nel 2018, insieme con le regioni mancanti.
L’interpretazione affidata a un “quarto stato” di attori-lavoratori: Giuseppe Battiston, Francesca Mazza, Roberto Citran, Maddalena Crippa, Gigi Dall’Aglio, Michele Di Mauro, Davide Enia, Paolo Mazzarelli, Lino Musella, Filippo Nigro, Gianni Parmiani, Ulderico Pesce, Michele Placido, Arianna Scommegna, Vitaliano Trevisan.
Lavoro, fatica, ferite, drammi quotidiani dai territori del Paese cuciti insieme da un impianto di tubi, piattaforme, scale, un cantiere in continuo mutamento. «Considero il teatro un vero “parlamento sociale” e questo format diventa una nuova forma di epica teatrale contemporanea che sentiamo necessaria – spiega Antonio Calbi – per onorare il nostro statuto di Teatro Nazionale.
“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”, recita il primo articolo della nostra Costituzione, oggi il lavoro però è perduto, mai trovato, scomparso, in trasformazione...
«Gli autori registrano la realtà in presa diretta, seppure trasfigurandola con i rispettivi linguaggi e modi, e questa è cupa, sotto tanti aspetti. Mi pare che nonostante gli sforzi da più parti siamo ancora in una condizione di grande incertezza. E se non riparte il lavoro non riparte il Paese, ad ogni latitudine».
Il Sud è ben presente: tanti fermenti culturali che si scontrano con una crisi endemica. Come sono stati scelti gli autori?
«Abbiamo mescolato drammaturghi, scrittori, cronisti. Per il Sud gli attori-autori, Ulderico Pesce per la Basilicata, quella che doveva essere la nostra “Lucania Saudita”, per via della ricchezza di petrolio; per la Sicilia Davide Enia, con un pezzo ispirato al suo ultimo romanzo ambientato a Lampedusa; l’anno prossimo ci sarà Saverio La Ruina, per la Calabria, a raccontare come il tempo di percorrenza del corso principale del suo paese sia mutato anche in ragione della chiusura di negozi, botteghe artigiane. Nulla di nuovo sotto il sole dunque: disoccupazione significa disperazione, depauperamento dell’identità dei territori, fuga, quando va bene».
Sceglie la frontiera il palermitano Davide Enia, per il suo personale affresco sul tema del lavoro, intenso e lucido, oggettivo nel narrare un momento preciso, quello del salvataggio in mare, poetico nel condividere emozioni di chi ogni giorno partecipa ad una giostra che parla di vita e di morte.
Il drammaturgo, scrittore, attore e regista, torna in scena con un nuovo testo a distanza di dieci anni per una riflessione in continuità con l’ultimo romanzo, “Appunti per un naufragio” (Sellerio), pubblicato lo scorso maggio, le vicende di un padre e un figlio che guardano la storia svolgersi davanti a loro, nel mare di Lampedusa.
Come nasce il monologo “Scene dalla frontiera”?
«Ho voluto trattare uno degli aspetti meno affrontati del nostro presente, quello legato alla frontiera ed al soccorso in mare, proponendo una lettura più profonda, possibile grazie alla conoscenza diretta delle cose e del fenomeno. Ho frequentato Lampedusa per anni, guardando in faccia chi arriva e chi attende».
In che modo riportare questa pagina del presente?
«Racconto ciò che sta accadendo nel Mediterraneo, il lavoro delle squadre di soccorso a mare, uomini e donne al confine di un’epoca e di un continente, costretti a riadattare il proprio mestiere. Ho scelto di farlo in prima persona, data anche l’esiguità del tempo a disposizione, accompagnato dal musicista Giulio Barocchieri. Una scelta possibile grazie al mio lavoro sul campo. C’è una enorme differenza nel restituire e condividere fatti a cui si è assistito veramente».
La frontiera non solo come dato geografico…
«Stiamo vivendo una svolta storica, un cambiamento epocale che proseguirà per i prossimi 25 anni. Portarlo a teatro, attraverso un percorso che corre parallelo a quello del romanzo, mi permette di mettere una giusta distanza e mi dà la possibilità di elaborare il tema. Il teatro è luogo dove indagare i dubbi del presente».
Parola che si fa suono e si completa con gesti delicati e capaci di creare distanza e vicinanza insieme. In mare ogni vita è sacra, ha lo stesso valore. Azioni che diventano rito restituito al pubblico con forza e intensità, e poi il “cunto”, tecnica arcaica, canto disperato di speranza e dolore.
“Scene dalla frontiera” di Davide Enia andrà in onda in diretta martedì alle 21 sulle frequenze di Rai Radio3.

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