Ma cosa spinge una coppia a scegliere un “utero in affitto”? E il bambino che nascerà avrà forse qualcosa di diverso dagli altri? Non sarà allo stesso modo una creatura in cerca d'amore, d'una costellazione di affetti che si possa chiamare, quale che ne sia la formula, “famiglia”? E, purtuttavia, non è umano avere dubbi, resistenze, difficoltà ad accettare situazioni che a taluni sembrano estreme? A queste e altre simili domande risponde “Geppetto e Geppetto”, il bellissimo spettacolo del messinese Tindaro Granata, andato in scena con successo al Teatro Biondo di Palermo ma proposto anche a Messina per le scuole, grazie alla tenacia di Daniela Ursino: uno spettacolo che ha raccolto premi in giro per l'Italia (compreso il più prestigioso di tutti, l'Ubu, come “novità drammaturgica”) prima d’essere rappresentato nella terra d'origine di Tindaro, che qui è autore, attore e regista (assistente regista Francesca Porrini; allestimento Margherita Baldoni; luci e suoni Cristiano Cramerotti, movimenti di scena Micaela Sapienza. La coproduzione Teatro Stabile di Genova, Festival delle Colline Torinesi, Proxima Res).
Tindaro è Luca, metà d'una coppia gay: il compagno, l'altro Geppetto, è Tony (lo strepitoso Paolo Li Volsi). Assieme, superando loro per primi resistenze, dubbi e paure, avranno un figlio, Matteo (Angelo Di Genio). E tutta la vita di questa famiglia è percorsa in una serie di scene: dal “contratto” che i due devono stipulare per avere Matteo, fino a un ipotetico futuro in cui Matteo è adulto e vive lontano. In mezzo ci sono le cose normali che succedono alle famiglie: le liti e i Natali assieme, gli amici del cuore (Alessia Bellotto, Carlo Guasconi, Lucia Rea), l'opposizione della nonna calabrese (Roberta Rosignoli) – che incarna il punto di vista di chi non comprende, e non per ideologia ma per paura e senso estremo di protezione – , l'adolescenza col suo carico da undici d’incomprensioni e ostilità, il rapporto col gruppo dei pari e coi sentimenti, e poi la malattia, la morte. E ci sono tutte, in scena, le nostre paure e le nostre emozioni, i conflitti coi genitori e con gli amici, l'amore spontaneo e irriflessivo dell'infanzia e l'amore tormentato degli anni della ragione, le scelte che portano lontano, la corda del cuore che tira per tornare.
Nessun manifesto, nessuna presa di posizione ideologica (anzi, ai fanatici delle par condicio piacerà lo spazio dato a tutte le opinioni): la storia di questa famiglia scivola sì in mezzo al dibattito che accende, anche aspramente, la società (e di cui abbiamo l'eco in manifestazioni di piazza e dichiarazioni sui media di cui ascoltiamo l'audio, di tanto in tanto), ma si sviluppa soprattutto – e questo grazie a una scrittura sapiente, ferma e precisa – nell'analisi delle dinamiche interne tra i personaggi, in scena con semplici magliette nere col nome, tra pochi elementi che si trasformano di volta in volta in ambienti diversi, con una recitazione che tocca tutti i registri senza mai perdere il filo della sobrietà.
Una storia commovente, perché per virtù di grazia intima, levità di tocco e intelligenza del cuore raggiunge i territori ultimi (o primi) di ciò che ci lega assieme: i sentimenti, l'amore, la dedizione reciproca, la capacità di comprendersi. Strano come questioni intricate e spinose a volte risultino così chiare, al sentire. E come sia bello sperimentarlo nel teatro intenso e intelligente d’un giovane autore messinese di cui sentiremo parlare a lungo.
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