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Ma come reagisce l'Italia oggi al fantasma di Mussolini?

Ma come reagisce l'Italia oggi al fantasma di Mussolini?

Regia di Luca Miniero. Un film con Massimo Popolizio, Frank Matano, Stefania Rocca, Gioele Dix, Guglielmo Favilla. Genere Commedia - Italia, 2018, durata 100 minuti.

Roma, quartiere Esquilino. Poco distante da una torma di ragazzini di tutte le etnie che giocano a calcio (ma, cinesi o senegalesi che siano, con la maglietta 10 di Totti e il dialetto romanesco verace: dunque, italiani a tutti gli effetti), per effetto d'un imprecisato sortilegio piomba, nell'erba stenta di piazza Vittorio, Benito Mussolini (Massimo Popolizio). Proprio lui, in uniforme, fez e corda di piazzale Loreto ancora attorno alle caviglie. Soccorso da un edicolante di buon cuore (che è gay, e infatti si sente dire: “Io gli invertiti li ho mandati tutti al confino”), viene intercettato e poi “adottato” da un documentarista sfigatissimo, Andrea Canaletti (Frank Matano), che vede in quella figura così strana l'opportunità di girare finalmente un docu che finisca davvero sugli schermi. Comincia così “Sono Tornato”, ultimo film di Luca Miniero, che dopo “Benvenuti al Sud” e “Benvenuti al Nord” si lancia in un ulteriore “viaggio” nell'Italia di oggi: solo che qui la comicità deve necessariamente virare al grottesco, sulla traccia del romanzo ispiratore, l'esilarante e caustico “Lui è tornato”, di Timur Vermes (Bompiani), uscito in Germania nel 2013 e poi in tutto il mondo e diventato un film dallo stesso titolo (su Netflix).

Il film è ambizioso: partendo da questo anacronismo vivente così eclatante (ma ci chiediamo quanto sia anacronistico, nel Paese in cui diversi giornali nazionali pubblicano in prima pagina la foto del “Duce” definendolo “L'uomo dell'anno”e politici con pretese da premierato precisano che "in fondo aveva fatto anche cose buone") vorrebbe darci un ritratto della confusione e vacuità dei nostri tempi e della nostra coscienza politica, che sconta una profonda e progressiva ignoranza di ritorno, sostenuta da un sistema mediatico che ricorda più il Colosseo che l'agorà.
La cosa più interessante sono gli innesti di un linguaggio sostanzialmente inedito per la commediola italiana degli stereotipi e delle gag (che comunque ci sono, e funzionano): testimonianze reali dalla “pancia del Paese”, parlando a ruota libera di partiti, lavoro, immigrazione, e soprattutto spezzoni di candid camera in giro per le strade, con passanti e turisti che guardano quel tizio così strano, così simile a Mussolini, in una varietà di reazioni che vanno dal saluto romano al selfie (ma onore all'unico che vediamo salutare col pugno alzato, tanto per chiarire). E in questo ruolo Popolizio è davvero mostruosamente bravo, dal momento che non fa di Mussolini una macchietta o una parodia, ma gli dà una sostanza umana reale, che diventa parte, a nostro avviso, del problema etico del film.

Se è (anche) un test, quello di Miniero e del co-sceneggiatore Nicola Guaglianone (Lo chiamavano Jeeg Robot, L'ora legale, Indivisibili), allora il risultato è deprimente, nel Paese in cui i neofascisti credono che sia tempo di riportare i loro bivacchi e manipoli là dove erano stati cacciati a furor di popolo, e di farlo attraverso una sorta di legittimazione democratica che passa per talk show e campagne social. Se è un test, il Paese dei populismi - dove la nostalgia dell'uomo forte al comando non guarisce mai - lo fallisce in pieno. Perché dove volete che trovi rifugio, questo “duce” identico a quello di 80 anni fa, e che s'impratichisce in pochi giorni delle tecnologie comunicative (una scena molto divertente è quando si sostituisce a Canaletti in un dialogo via whatsapp)? In televisione, è ovvio. Dove, grazie alla spregiudicatezza d'una direttrice di rete (Stefania Rocca), gli viene allestito un format tutto suo che, ovviamente, diventa campione d'ascolti: il Mussolini “falso”, che in realtà è vero, fa discorsi pazzeschi, razzisti, suprematisti, beceramente nazionalisti, che dovrebbero essere “satira” ma in realtà non lo sono (come non lo sono programmi altrettanto pazzeschi, razzisti, suprematisti e beceramente nazionalisti di vere forze in campo in questa campagna elettorale), e alzano alle stelle gli ascolti.

Le tv si contendono questo prodigioso “attore” (con camei gustosi di Alessandro Cattelan ed Enrico Mentana nelle parti di se stessi: e meno male che sono stati scelti loro, in rappresentanza di un circo mediatico assai più discutibile), e il gradimento che riscuote ovunque ci dà la misura di quanto l'informazione e l'intrattenimento siano perversamente intrecciati, e come la bolla comunicativa nella quale viviamo abbia il mostruoso potere di redimere i mostri – purché facciano pubblico atto di contrizione a favore di telecamera – e mostrificare chi mostro non è. Il che ci riporta alla questione di base: il populismo che rischia di sostituire alla democrazia – come un orrendo ultracorpo – qualcosa che le somiglia, che ne ha le fattezze, ma non lo è.
Però il rischio è grande, in questo maneggiare così la figura di Mussolini, sia pure in una chiave che quasi sempre è di umorismo grottesco e surreale e malgrado i momenti di aperto e chiaro dissenso attraverso i pochissimi personaggi che ci riportano alla realtà storica  del "duce" dittatore criminale e assassino, ai quali alla fine si unisce pure lo stesso Canaletti e tra i quali spicca la bravissima Ariella Reggio, nei panni di un'ebrea sopravvissuta che riconosce e inchioda il responsabile delle leggi razziali. E alle domande “ma il passato se n'è andato o è ancora qui? Gli italiani sono gli stessi che consentirono il fascismo, e oggi lo rifarebbero? E' vero che governare gli italiani non è difficile, è inutile?” - che sono cruciali, specialmente in questi giorni – non c'è una risposta chiara, non tanto per volontà di equidistanza, quanto per difetto di profondità e scrittura di quello che resta un film passabilmente comico, con spunti interessanti e alcuni bravi attori, ma nulla più.

Le domande, invece, restano, e dovrebbero tormentarci davvero.

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