Martedì 24 Dicembre 2024

Alessandra Pagnotta e la ricetta della famiglia (quasi) perfetta

Alessandra Pagnotta e la ricetta della famiglia (quasi) perfetta

Stasera, 10 agosto, a San Vito Lo Capo (alle 21.30), l’attrice palermitana Alessandra Pagnotta e la madre Anna Maria Bonaccorso saranno ospiti della manifestazione “Libri, autori e bouganville” per parlare del loro  “Ricette di una famiglia siciliana. Storie di grandi abbuffate e solenni arrabbiature”(Edizioni Leima). Uno sguardo ironico e affettuoso sulla Sicilia degli anni ’50 e ’60, dove la cucina tradizionale della nostra Terra è il fil rouge delle vicende dei Paternò e del capofamiglia Don Ciccio, siciliano purosangue amante della buona tavola, di cui spesso non riesce a gustarne appieno le prelibatezze a causa dei tragicomici eventi dei membri della sua famiglia. Un mondo tradizionale che non esiste più e, come il protagonista della storia, si scontra con una serie di inevitabili cambiamenti interni ed esterni. La parte narrativa del volume è curata da Alessandra Pagnotta, mentre trascrizioni delle ricette e illustrazioni sono rispettivamente di Anna Maria Bonaccorso e di Roberto Pagnotta. Abbiamo raggiunto l’attrice per saperne di più.

Come è nata l’idea di ambientare la vicenda tra due decadi così dense di cambiamenti storici anche per la Sicilia?

“E’ un’epoca che mia madre ricorda con grande affetto e nostalgia e, dal momento che il libro è basato sui suoi ricordi di famiglia, rielaborati con ironia, si parte da quel periodo storico. L’idea di iniziare con gli anni ’50 e concludere coi ’60 si è sviluppata in fieri e ha avuto un senso, perché la tematica del cambiamento era parte del nostro progetto, ma anche caratteristica tipica di quelle decadi. Abbiamo così inteso narrare come il mondo si trasformasse, e come per molte persone fosse difficile adattarsi al cambiamento. Il protagonista della nostra storia, infatti, è uno di questi, legato a un modo di pensare all’antica fatto di valori e principi molto radicati”.

Qual era il fascino di quegli anni?

“Sicuramente c’era più genuinità nella vita, nei costumi e nelle abitudini. Si vivevano le tradizioni con una semplicità che oggi si è persa. Soprattutto non esiste più l’idea di famiglia di allora, perchè anche nel caso di un nucleo allargato, il capofamiglia  aveva la responsabilità di gestire alcuni membri che si aggiungevano, come le sorelle rimaste vedove o non sposate. Le famiglie allargate di oggi sono invece molto diverse, anche nel  modo di stare assieme. Ad esempio, si sta a tavola, guardando contemporaneamente la televisione; cosa impensabile in un contesto come quello di Don Ciccio, ove il momento conviviale era sacro, come emblema dell’unità familiare, senza Internet e telefonini”.

La nostra cucina siciliana ha un ruolo di spicco nelle vicende di Don Ciccio e della sua famiglia…

“La cucina ha infatti un ruolo centrale, perché la stessa idea del libro è partita dall’apprezzamento per la gastronomia siciliana, stando a tavola con gli amici che gustavano questi piatti e ogni volta chiedevano come li avevamo preparati. Per cui abbiamo deciso di mettere per iscritto le ricette e tramandarle; ma c’è stata la spinta ulteriore dell’osservare come assieme al cibo, venissero fuori ricordi associati alla ricorrenze, alle usanze... Così abbiamo fatto della cucina il fil rouge della storia, sia dal punto di vista della preparazione delle ricette, che del racconto del fatto conviviale, come piacere dello stare a tavola, con tutto ciò che vi ruota intorno. Per incuriosire il lettore abbiamo inserito anche altri elementi legati alle espressioni culinarie. Alcune ricorrenze religiose, per esempio, sono legate a determinate tradizioni gastronomiche, a Palermo come in tutta la Sicilia”.

Cosa pensi della nouvelle cuisine, delle rivisitazioni dei nostri piatti, ove la tradizione gastronomica si coniuga con l’innovazione?

“A me le rivisitazioni piacciono e mi piace mangiare in posti dove si rielaborano i piatti tradizionali con qualche ingrediente che aggiunge un aroma particolare. Come diciamo nell’introduzione, l’unica cosa che non amiamo della nouvelle cuisine sono le scarse porzioni che lasciano poco soddisfatti, e non danno quell’appagamento tipico di una portata sostanziosa. Credo sia una peculiarità tipica di noi siciliani non amare le porzioni minime: andiamo a mangiare in posti dove possiamo sentirci sazi e appagati”.

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