D’accordo, le cattive ragazze non andranno in paradiso. Ma ci ispirano, ci appassionano e sanno far battere il cuore dei lettori, portandoci per mano oltre il bordo del confine, rompendo i tabù della società e facendosi beffe della morale e dei pregiudizi. Del resto, oggi chi metterebbe in dubbio che possano essere grandi narratrici di fantascienza? Oggi sarebbe assurdo persino pensarlo ma un tempo le cose erano ben diverse. Per questo motivo iniziamo questo viaggio nella scrittura, fra fantascienza e realtà distopiche, con l’antologia Le Visionarie, un volume curato dalla coppia Ann e Jeff VanderMeer (pubblicato da Nero Editions nella collana Not). Si tratta di ventinove racconti, ventinove gemme che raccolgono il meglio nell’arco fantasy e fantascienza, declinato in una chiave femminista, proponendoci un avvenire onirico, inquietante o perturbante, raccontando – anche – la formazione dell’identità sessuale o la genesi del potere in seno alle società. Un vivace caleidoscopio di sguardi e stili, passando da Ursula K. Le Guin ad Angela Carter, Octavia E. Butler e Joanna Russ, Tanith Lee e Alice Bradley (in arte James Tiptree Jr.) e nuove voci Nnedi Okorafor, l’argentina Angelica Gorodischer, la finlandese Leena Krohn e l’indiana Vandana Singh. L’edizione italiana del libro è stata coordinata da Claudia Durastanti e Veronica Raimo e la traduzione è affidata alla cura di professioniste, fra cui Emmanuela Carbé, Marta Maria Casetti e Gaja Cenciarelli che riescono a rendere lo stile ironico oppure horror senza mai tradire la forza dirompente, l’originale visionarietà dei racconti.
Restiamo sul pezzo parlando di Rachel, protagonista del romanzo Borne scritto proprio da Jeff VanderMeer (Einaudi, traduzione di V. Latronico) dopo il grande successo riscosso con La Trilogia dell’Area X (il primo libro, Accettazione, è già approdato al cinema con una produzione originale Netflix). In un futuro distopico, fra le macerie di una città in rovina infestata da biotecnologie fuori controllo, percorsa da bande di razziatori, dominata dal cielo da un orso mutante di nome Mord, Rachel – una cacciarifiuti – scoverà Borne, una misteriosa creatura, una via di mezzo fra un figlio adottivo e un mostro mutante. Borne è destinato a stravolgere il mondo in crisi. Ma al di là della grande fantasia dell’autore e delle atmosfere visionarie proposte, resta sul campo una riflessione: cosa fa davvero di noi un essere vivente e quali responsabilità questo comporta.
Scritto nel 1986, Il racconto dell’ancella (Ponte alle Grazie, traduzione di C. Pennati) di Margaret Atwood è tornato prepotentemente alla ribalta grazie alla fortunata serie tv “The Handmaid’s Tale” (su Tim Vision) che ne ha rilanciato i temi attuali. Narrato da una donna di nome Difred, ambientato in un regime totalitario e teocratico che priva le donne di qualsiasi ruolo e ne fa oggetto di esclusiva proprietà maschile (Di-Fred è la protagonista perché è l’ancella del comandante Fred), il libro della Atwood è stato accostato a “1984” di Orwell. Gli Stati Uniti sono diventati uno stato totalitario che, in seguito alle devastanti radiazioni nucleari, ha sottomesso il corpo della donna, asservito ai fini procreativi in una società schiavista e fortemente patriarcale. La Repubblica di Gilead – che la Atwood ha “costruito” mettendo assieme cose accadute davvero, in luoghi e periodi diversi, contro le donne – è un intreccio perverso di puritanesimo e tabù, una miscela esplosiva che vorrebbe tutelare l’élite dominante ad ogni costo. Non è un caso se nell’era Trump questo libro è considerato un vero e proprio manifesto all’azione.
Preceduta proprio da un commento entusiasta della stessa Atwood («Scioccante! Vi metterà KO!»), Naomi Alderman è approdata sugli scaffali delle nostre librerie con Ragazze elettriche (Nottetempo, traduzione di M. Davies), immaginando un mondo futuro in cui le ragazze, dotate del potere di emanare scosse elettriche dalle mani, hanno la facoltà di ribaltare gli equilibri e interrompere il dominio fallocentrico della società umana. Cosa accadrebbe da questo momento in poi? Un paradigma narrativo tutto sommato semplice ma ricco di sfaccettature e sviluppi possibili: sotto la minaccia del dolore, instaurando un nuovo equilibrio con il terrore e la sofferenza, le donne finalmente al potere, saprebbero gestire la situazione e creare una società equa? Approderà presto sul piccolo schermo con una serie-tv e sarà interessante scoprire come sia stata resa la narrazione circolare delle diverse protagoniste – Roxy, Allie, Margot, Tunde, Jocelyn – il culto ossessivo Dea Madre ovvero un'investitura teocratica che rende lecito ogni crimine commesso contro gli uomini (con relative scene splatter su cui l’autrice indugia a beneficio delle lettrici in vena di giustizia e vendetta).
Il duetto distopia-femminismo piace parecchio al mercato – non a caso le lettrici sono il baluardo dell’editoria – e lo dimostra anche il recente successo di Christine Dalcher con Vox (Editrice Nord, traduzione B. Ronca), narrando di un mondo (sulla stessa linea della narrazione della Atwood) in cui alle donne – e alle donne soltanto – viene imposto un limite da non oltrepassare: possono pronunciare solo 100 parole al giorno. In America tutto è mutato velocemente e ogni donna indossa un braccialetto contaparole ed è vietato imparare a leggere e scrivere, rinunciando al lavoro, al passaporto e al conto in banca. Un mondo spietato in cui la libertà è calpestata sotto i piedi, un libro che sottolinea – al tempo del #Metoo – la necessità di non dar nulla per scontato e il dovere di far sentire la propria voce, sempre. E a qualsiasi costo, scongiurando che le celebri parole di Bertolt Brecht possano tramutarsi – un giorno oscuro – nella nostra realtà.