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A tu per tu con Peppe Servillo: "La canzone napoletana? E' ironia, lirica e intelligenza"

Peppe Servillo

Diciotto anni dopo la vittoria sanremese con il brano “Sentimento”, assieme alla formazione degli Avion Travel, e a tre anni dall’uscita di “Spassiunatamente”, che lo ha visto per la prima volta con i Solis String Quartet (Vincenzo Di Donna e Luigi De Maio, violini, Gerardo Morrone, viola, e Antonio Di Francia, cello e chitarra) interpretare i capolavori della canzone napoletana, Peppe Servillo (che al Festival di Sanremo di quest’anno ha duettato all’Ariston con Enzo Avitabile) torna a calcare i palcoscenici italiani per proporre “Presentimento”.

Si tratta, come lui stesso ama definirlo, della «naturale prosecuzione di un progetto che non smette di spaziare all’interno di un immenso panorama musicale senza cercare di circoscriverlo a un periodo o a un autore». Dal brano che dà il titolo alla raccolta a “Scalinatella”, “Palomma” e “So li sorbe e le nespole amare”, da “Mmiez’o grano”, “M’aggia curà”, “Te voglio bene assaie” e “Dicinìtencello vuje”, fino a “Futurtella” e “Tarantella segreta”, “Tutta pe’ mme” e “Canzone appassiunata”, Servillo e i Solis String Quartet hanno voluto rendere omaggio alla cultura e alla canzone classica napoletana con una rilettura «moderna ma non troppo».

Abbiamo incontrato Peppe Servillo prima della sua esibizione al Palacultura di Messina, nell’ambito della stagione concertistica dell’Accademia Filarmonica.

Maestro, considera “Presentimento” la seconda tappa del viaggio di un napoletano nella “sua” tradizione?

«“Sentimento” è da molti considerata una canzone napoletana e per certi versi lo è. “Presentimento” è invece un lavoro sul linguaggio e sulla sonorità che la metrica di questa tradizione esprime senza rinunciare all’armonia dei testi, con la modernità degli arrangiamenti per voce e quartetto d’archi, un patrimonio della nostra cultura popolare che va tenuto in vita».

La scelta di “spogliare” i brani di tutti gli orpelli è finalizzata a far emergere un’eleganza e una raffinatezza spesso sottovalutate?

«Ho cercato di evitare il sentimentalismo scontato. La canzone napoletana non è stereotipo, è ironia, lirica, intelligenza, mimesi».

Quanto la sua personalità istrionica e la prossemica che caratterizza le sue performance la aiuta nell’interpretazione di questo repertorio?

«Non mi definisco un istrione, da sempre mi sono proposto in maniera “teatrale” quasi istintivamente, un’abitudine che nel tempo ho rafforzato sul palcoscenico».

Che criterio avete adottato con i musicisti nella scelta dei brani?

«Senza trascurare le nostre capacità interpretative, abbiamo cercato di riproporre in chiave originale non solo brani molto noti, ma anche alcune tracce meno conosciute seppur molto intense, senza trascurare l’aspetto ritmico né “sovrapporci” agli autori di queste canzoni».

Ogni lingua possiede le sue peculiarità fatte di espressioni intraducibili. Oggi si parla tanto di recuperare gli idiomi dialettali, espressione di un immenso patrimonio artistico...

«Senza voler peccare di presunzione, nel caso del napoletano (che noi riproponiamo integralmente), parliamo non propriamente di un dialetto, ma di una lingua che ha alle spalle una storia e una tradizione letteraria molto forte. Anche nella canzone, così come nel teatro e nella poesia, il linguaggio dialettale è capace di coniugare espressioni alte e sofisticate con altre molto viscerali, dirette e popolari».

Sappiamo che ama molto il teatro di Scarpetta e De Filippo e una delle sue commedie preferite è “Miseria e nobiltà”. Quest’opera esprime il valore della musica napoletana?

«Direi proprio di sì, nel senso che questa lingua e questa musica hanno la capacità di coniugare l’istinto con un pensiero poetico molto alto. A Napoli, ancora oggi, la musica come cultura popolare è patrimonio di tutti perché riesce a esprimere l’essenza di un popolo».

Ai suoi concerti incontra più adulti o più giovani?

«Il mio pubblico è variegato anche se, con grande sorpresa, negli ultimi anni sono tanti i giovani che vengono ai miei spettacoli. Questo m’inorgoglisce, ma nello stesso tempo mi carica di grande responsabilità, quella di raccontare in maniera sobria e non invadente uno spaccato musicale che è espressione storica, sociale e culturale».

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