Innovazione, un grande classico. L'ossimoro c’era già nella conduzione del Festival di Sanremo Giovani, quella affettiva di Pippo Baudo versus quella effettiva di Fabio Rovazzi. Giuria televisiva vs (cine)panettone. Una retorica troppo buona, nella quale le posizioni di Fiorella Mannoia e i piazzamenti di Annalisa (gli altri sono Luca e Paolo, presidente Barbarossa), hanno ricalcato la stessa matrice degli opposti che, «per amore o per ridere», evidentemente si attraggono. Almeno sul palco del Casinò. Giovani vs la solita musica. Ci si stampano su anche i "concorrenti", con pezzi che anche per quest'anno le nuove proposte le sentiremo un altr'anno. Una serie di nickname d'arte (look arditi e testi affievoliti, studi di conservatorio e scelte conservatrici). Qualche testa di serie come Einar che grazie agli Amici di Maria è diventato Campione della prima serata, quella che ha consegnato il Premio della Critica a Federica Abate. E qualche testo serio, uguale a quello di Mahmood che ha fatto l'an plein l'indomani. Nel podio con loro anche i Deschema, La Rua e Nyvinne ingaggiati per “Sanremo Giovani World Tour. Stranieri verso l'Italia. Einar cubano e Mahmood di padre egiziano. Hanno vinto un “permesso di soggiorno” tra i big della musica italiana, «perché la musica è più avanti della politica, non ha rancori, solo bellezza e armonia». Dittatore artistico vs dittatura Auditel. Claudio Baglioni lo ha voluto fortemente. Lo ha cercato dietro le quinte con lanternino e bilancino, l'ha ribadito in conferenza stampa a fari accesi. Lui che è un musicista, cantautore, presentatore e dittatore si sente. Che è pure architetto si vede dal progetto ormai in stato avanzato di costruire un nuovo Festival. In cui la Canzone Italiana non è più (o non deve essere necessariamente) una composizione musicale che risponda a determinati criteri, quanto piuttosto (più semplicemente) la musica che si ascolta in Italia. È una chiave di rilettura contemporanea dell'impianto di Sanremo e di apertura verso l'altro che c'è fuori da lì. È il richiamo delle sirene tentatrici, che vorrebbero slegare il popolo dalle sue piattaforme per armarlo di telecomandi caricati a televoto. Che nella Edizione n. 69 probabilmente riuscirà a coprire la voce a sirene spiegate di chi (ancora) grida allo scandalo se, tra i ventidue big invitati (più i due ammessi) all'Ariston, c’è gente che arriva da altre strade. Collaborazioni vs contrapposizioni. Capiranno che è per il bene del Paese se nel cast annunciato convivono serenamente due vincitori Campioni (Simone Cristicchi e Il Volo), due vincitori Giovani (Anna Tatangelo e Ultimo), un paio di amiche di Fiorella e del Festival (Paola Turci e Loredana Bertè), qualche ritorno d’amore e d'autore (Negrita, Daniele Silvestri, Nek, Francesco Renga e Arisa), quote indie (Zen Circus, Ex-Otago e Motta), ragazzi di talent (Irama ed Enrico Nigiotti), coppie alternative (Patti Pravo e Briga, ad esempio, o Nino D'Angelo e Livio Cori) e consolidate (tipo Federica Carta e Shade), rap e hip pop (Achille Lauro, Ghemon e Boomdabash). Da dovunque lo giri vengono fuori bussolotti pieni di storia del Paese mescolata alle storie da paese. Succede. Perché Sanremo è Sanremo. Se nessuno tocca le sue contraddizioni. Se «la Liguria è il Ponte e Genova l'unica città al mondo che vede i gabbiani dall'alto» (“Geom.” Renzo Piano). Se chi avesse un'idea simile a quella di Baudo sulla canzone italiana che non esiste più, cambiarla velocemente ed elegantemente si può. Se il tempo conta, ma il ritmo di più. Se, anche se il passato non passa, l'avvenire avviene. Se abbiamo votato i Giovani in prospettiva (senza avere idea di quello che ascolteremo), se abbiamo votato già pure i Big, nella retrospettiva (di quello che abbiamo già sentito). Se si accetta l'idea che, da regolamento, ora c’è in circolo una sessantina di inediti da smerciare. Se tra il blu dipinto di blu e un trattore in tangenziale si può sempre scegliere tra volare o andare a comandare.