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Uno sguardo un dettaglio: la grandezza di Antonello da Messina

Il dettaglio della mano dell'Annunciata

Allestire una mostra dedicata ad Antonello da Messina (1430 – 1479) ha in sé qualcosa di epico, già solo a pensarla. Poche opere esistenti, sparse per il mondo, spesso a rischio, tanto che ogni spostamento, pur con le tecniche di oggi, crea problemi e polemiche, anche giustificate. È sempre particolarmente difficile riuscire a ottenere il prestito di questi dipinti e le mostre dedicate al grande pittore del Quattrocento nascono monche in partenza. Eppure, hanno comunque un grande fascino, attirano visitatori e interesse, ottengono eco in tutto il mondo.

Perché? Il fatto è che, nonostante il continuo aggiornamento degli studi, Antonello rimane un pittore misterioso, legato a varie leggende, a cominciare da quel dipingere con l’olio di provenienza fiamminga e poi l’incontro, mai avvenuto, con Van Eych, inventato dal Vasari con scarsa attenzione alle date; il dualismo, amichevole e rivaleggiante con Giovanni Bellini, condito da aneddoti più o meno realistici; la scarsezza delle fonti, nonostante l’apporto ottocentesco di Giovan Battista Cavalcaselle e dei siciliani Gaetano La Corte Cailler (di Messina) e Gioacchino Di Marzo (di Palermo); opere che costringono all’immaginazione come la “Pala di San Cassiano”, di cui sono conservati solo frammenti a Vienna e che, secondo molti studiosi, costituisce l’evidenza di un asse storico e pittorico tra Piero Della Francesca, Antonello e Bramante; l’incerto e talvolta neppure immaginabile percorso fatto da alcune opere per giungere alla loro attuale destinazione, come per esempio il “San Sebastiano” di Dresda; gli enigmi simbolici dello “Studio di San Gerolamo”; la geografia reinventata sugli sfondi, a cominciare dai panorami della sua Messina.

Ma c’è dell’altro. Seppur contestata da alcuni puristi che legano tutto solo a ciò che è coevo, un’incredibile qualità della pittura di Antonello è il senso psicologico dei suoi ritratti. Nel Quattrocento la parola psicologia era “in mente Dei”, eppure oggi, giusto o ingiusto che sia, non si può fare a meno di ricorrervi, guardando i celeberrimi ritratti, ma anche soltanto le espressioni dei santi. «Li ritrae consegnando allo spettatore un racconto, una storia, un intero trattato sull’umana natura. Ferma l’attimo del respiro, coglie il fremito di un labbro, la certezza di uno sguardo. Il nostro secolo ha adorato i ritratti di Antonello da Messina: la pittura italiana si è riconosciuta tutta in quegli sguardi, ci siamo tutti identificati nella concretezza di un pittore che ha dato forza e carattere (più di Leonardo? ben più di Leonardo!) ai volti: e ha ritratto la femminilità virtuosa e intensa, la scontrosità e le forme di donne che hanno attraversato i secoli».

Questo condivisibile concetto è di Giovanni Carlo Federico Villa, curatore della mostra antonelliana in corso a Palermo fino al 10 febbraio nella Galleria regionale di Palazzo Abatellis. L’evento, inserito nel cartellone di “Palermo capitale italiana della Cultura 2018”, è organizzato dalla Regione Siciliana - Assessorato regionale dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana e da MondoMostre – con la Città di Palermo. Il progetto è nato in collaborazione fra la Regione Siciliana e il Comune di Milano, dove l’esposizione verrà presentata con vari cambiamenti – a Palazzo Reale, in collaborazione con MondoMostre Skira -  dal 21 febbraio al 2 giugno 2019.

La mostra palermitana, pur partendo avvantaggiata dalla possibilità di utilizzare le opere di proprietà regionale (“L’Annunciata” e “San Gregorio Magno, Sant’Agostino e San Girolamo” di Palazzo Abatellis; “Annunciazione” di Palazzo Bellomo, Siracusa; “Ritratto d’uomo” della Fondazione Mandralisca, Cefalù; il “Polittico di San Gregorio” e “Madonna con il Bambino benedicente e un francescano in adorazione”, recto, e “Cristo in Pietà”, verso, del Museo Regionale di Messina; con in più “San Girolamo penitente” e “Visita dei tre angeli ad Abramo” del Museo civico della dirimpettaia Reggio), non ha raccolto molto altro. L’elenco è breve, ma sempre importante: “Polittico di San Benedetto” (tre elementi), degli Uffizi di Firenze; “Ritratto d’uomo” della Pinacoteca di Pavia; “Crocifissione” di Sibiu, Romania; “Madonna con bambino” del figlio Jacobello, dell’Accademia Carrara di Bergamo. Insomma, siamo lontanissimi dalle quasi 40 opere della mostra del 2006 nelle Scuderie del Quirinale e un po’ anche dalle 18 più contorno della famosissima mostra di Messina nel 1953 (efficacemente raccontata in catalogo da Gioacchino Barbera) e da quella del Mart di Rovereto del 2013.

Il fascino di Antonello, il “pittore non umano”, e dei suoi misteri colpisce ancora e comunque. Villa ha scelto un’articolazione completa, come se le opere in mostra fossero molte di più, e ha ragione, perché anche quelle presenti, di periodi diversi, consentono di proseguire indagini interpretative destinate a rimanere senza fine. E il richiamo alla psicologia trova nel “Ritratto” di Cefalù, universalmente noto come “dell’ignoto marinaio” dopo il romanzo di Vincenzo Consolo, e nell’”Annunciata” due prove senza discussione. Anzi, ci riportano semmai all’attualità dei dubbi esistenziali da XXI secolo.

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