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"Popolo sovrano" ancora non ci siamo...

Klaus Davi

E’ vero, è partito male e ci si aspettava qualcosa di più. Soprattutto in seguito all’aggressione subita dalla troupe guidata dal giornalista Daniele Piervincenzi a Pescara. Parliamo della nuova creatura di un genio della televisione come Carlo Freccero, “Popolo Sovrano”.

In fondo, quando un talk-show giornalistico non ingrana non è comunque una notizia di cui gioire. A dire il vero i presupposti per un successo c’erano tutti: Alessandro Sortino – ex “iena” e attuale conduttore della trasmissione – ha fatto in passato cose importanti come inviato e si è occupato seriamente di criminalità organizzata, con programmi che sono piccoli capisaldi della storia televisiva recente. Per esempio, ricordiamo un’inchiesta sulla ‘ndrangheta di qualche anno fa per il programma “Malpelo” di La7, ancora estremamente attuale. L’altra conduttrice, Eva Giovannini, l’abbiamo notata da Lucia Annunziata, per cui faceva l’inviata di politica internazionale. Precisa e documentata, in quel contesto se l’era cavata egregiamente, facendo prefigurare un futuro professionale roseo. Il già citato Daniele Piervincenzi chiude il trio al timone del programma: brutalmente aggredito da un esponente del clan Spada l’anno scorso e sfortunatamente incappato in un’ennesima aggressione, sbattendoci la faccia ha plasticamente dimostrato come lo Stato Italiano non sia in grado di controllare interi territori. Un cocktail che sulla carta si presenta come ben assortito, ma il pubblico non l’ha pensata così e ha cambiato canale.

Sicuramente, riguardando l’esordio di giovedì scorso, la parte in studio è stata la più debole. Lenta e disarticolata, seppur non priva di novità. Non ci è dispiaciuta l’idea di far recitare dei brani “teatrali” ai protagonisti della cronaca, ad esempio. Cos’è mancato, quindi? Un filo conduttore, il singolo in grado di tradurre una pur indubbia preparazione in pathos e, di conseguenza, in credibilità televisiva. Quello che, per intenderci, sapeva costruire la squadra di Michele Santoro. Non a caso i suoi programmi partivano quasi sempre da servizi molto forti sul piano giornalistico ed emozionale.

La seconda e tremenda aggressione a Piervincenzi è un video perfetto per internet, ma da qui a farne una storia “televisiva” ce ne corre. Un conto è introdurre un programma con una testimonianza di un pentito sulla morte di Gianni Versace (per citare una delle tante memorabili puntate di “Servizio Pubblico”); un altro conto sono gli inserti sulle piazze di spaccio, che in fondo sono solo gli spiacevoli sintomi di un fenomeno ben più articolato (Sortino ne sa qualcosa…).

È mancata una narrazione che consentisse al pubblico a casa di identificarsi, mancava il filo della matassa. Il maestro Santoro sceglieva “di pancia”: storie altamente simboliche – dal suo punto di vista – concepite per un’audience già motivata e fidelizzata negli anni. Non si trattava mai di novelle televisive fini a se stesse. Se Sandro Ruotolo intervistava un pentito di mafia era per focalizzare i rapporti tra criminalità organizzata e politica, per poi snocciolarli durante tutta la puntata. Se si partiva con Ruby Rubacuori e i festini ad Arcore, il racconto solleticava tutti i luoghi comuni e i fantasmi tipici del microcosmo berlusconiano, alimentando invidia sociale, guardonismo e antiberlusconismo.

In “Popolo Sovrano” è sembrato tutto scollegato, fra i vari servizi mancava un vero fil rouge che li unisse. Certo, c’era il leit motiv del popolo, ma televisivamente troppo generico. Oddio, un sostrato comune c’è: il popolo sta male, anche con il governo gialloverde, e forse è proprio in quella direzione che si dovrebbe scavare…

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