E’ una mostra emozionale. Ineccepibile dal punto di vista scientifico e storico, ma legata – a cominciare da un percorso scenografico che punta dritto al cuore dei visitatori, ai sentimenti, alle interazioni di tipo psicologico – soprattutto alla capacità che Antonello da Messina (1430-1479) ha di dialogare con gli uomini d’oggi, di suscitare meraviglia e commozione, ma, nello stesso tempo, di mettersi alla pari grazie a quelle espressioni dei volti – persone comuni o santi e madonne non ha importanza – che ricordano il nostro vicino o anche un cugino lontano, con sorrisi e sofferenze, gioie e lacrime della porta accanto.
Se non rischiassi il cartellino rosso degli storici dell’arte, potrei scrivere che nella sua solo apparente quietezza Antonello è anche – e sottolineo anche – precursore di quel realismo “arrabbiato” che ha decretato la popolarità di Caravaggio.
Non ci possono essere dubbi sul successo: 11mila prenotazioni nei primi tre giorni online dicono tutto. Intitolata semplicemente “Antonello da Messina”, la mostra, aperta fino al 2 giugno nel Palazzo Reale di Milano – nata dalla collaborazione fra la Regione Siciliana e il Comune di Milano-Cultura con la produzione di Palazzo Reale e MondoMostre Skira, e curata da Giovanni Carlo Federico Villa – è uno degli eventi culturali più rilevanti nel panorama internazionale del 2019. Ed è, bisogna ammetterlo, molto più compiuta e interessante di quella appena vista a Palermo, adesso relegata al ruolo di «anteprima». Sia per il numero delle opere, qui sono 19 rispetto alle 12, anzi 11 (l’opera in prestito da Reggio Calabria non è mai pervenuta), di Palazzo Abatellis, sia per la qualità dell’allestimento, sia per lo spazio agli appunti e ai disegni di Giovan Battista Cavalcaselle, il «rabdomante della storia dell’arte» (la definizione è di Roberto Longhi) cui si devono ricerche, attribuzioni e un primo compendio delle opere di Antonello.
Fino a quel momento il pittore siciliano era stato un mito di cui raccontare storie spesso inventate (da Vasari a Ridolfi), ma senza il riscontro delle opere. Queste, disperse e spesso scomposte, avevano fatto cammini, in parte rimasti misteriosi ancora oggi, per giungere alle attuali sedi in tutto il mondo.
Insomma, e non credo sia un caso, il lavoro scientifico – di alto livello, le sue attribuzioni non sono messe in discussione – di Cavalcaselle, che nella seconda metà dell’Ottocento girava il mondo poverissimo e aveva partecipato da mazziniano alle lotte risorgimentali, partiva dalla passione. È esemplare il racconto che fa della grande emozione provata quando a Messina trova nel parlatorio del convento di San Gregorio il polittico ora esposto nel Museo peloritano, firmato e datato 1473: «Opera stupenda che giustifica le lodi degli scrittori veneziani riguardo Antonello».
Così tutto il percorso espositivo è impregnato dall’emozione della scoperta. Poco importa se adesso i meravigliosi ritratti sono conosciuti e familiari. Quest’ultimo aggettivo è quello vincente, perché chiarisce il dialogo che si crea con quei visi e con quei sorrisi che “magicamente” emergono, con il loro piccolo formato (intorno ai 40 cm) dalla luce focalizzata sulle opere, mentre intorno l’ambientazione è scura. La suggestione (l’allestimento è di Panstudio) è forte. Del resto il curatore ondeggia con ottimo equilibrio fra la scienza e la coscienza (individuale). Un pannello intitolato “L’indagine dell’Io” e un altro, “Volti e personalità”, puntano alla valorizzazione delle espressioni psicologiche umane, mentre vedere da pochi centimetri quelle tavolette le fa improvvisamente diventare grandi a dismisura.
È come se si riproponesse la disputa fra Longhi e Vincenzo Consolo su “Ritratto d’uomo”, conosciuto come “Ritratto dell’ignoto marinaio” (definito il più bel sorriso dell’arte dopo la Gioconda). «Non discuto il valore letterario, però questa storia del ritratto di Antonello che rappresenta un marinaio deve finire!», gridò pubblicamente il grande storico dell’arte allo scrittore. Le ricerche sembrano dare ragione a Longhi, ma il fascino che ci colpisce al cuore rimane dalla parte di Consolo. Villa sta con tutti e due e “crea” una mostra indimenticabile (e un catalogo Skira interessante, con la partecipazione di cinque scrittori).
Un pannello, per esempio, spiega la tecnica di Antonello, il primo a usare in Italia la pittura a olio mescolandola con la tempera a uovo, attraverso le immagini delle due opere rimaste in Sicilia perché a rischio: l’Annunciazione di Siracusa e il Polittico di Messina. Grande spazio anche alla Città dello Stretto in linea con l’orgoglio con cui l’artista si firmava “Antonellus Messaneus”: il portolano su vellum, creato da Giacomo Russo nel 1533, spiega perché all’epoca Messina fosse una città internazionale.
All’inizio una tela ottocentesca di Roberto Venturi, dal titolo “Giovanni Bellini apprende i segreti della pittura a olio spiando Antonello”, ci immette nel mito. Alla fine la Madonna col Bambino di Jacobello, che si firma “figlio di un pittore non umano”, ad appena un anno dalla morte del padre, induce una commozione autentica. In mezzo ci sono ben sei ritratti, sinceri e sfrontati, con il loro guardare in tralice. E poi l’Ecce Homo, la Crocifissione di Sibiu, il Cristo morto di Venezia, i santi, ma soprattutto due opere al vertice dell’arte mondiale: “San Girolamo nello studio” e “Annunciata”, uno sguardo femminile e una mano di straordinaria modernità.
Progetto “ritratto”a Palermo
A volte alzare la voce può servire. Dopo la minaccia del presidente della Regione Siciliana, Musumeci, di non mandare l’Annunciata alla mostra su Antonello, è stato ufficializzato il progetto “Il ritratto italiano del XX secolo dalle raccolte civiche”, che sarà realizzato dal Museo del Novecento di Milano nella sede di Palazzo Abatellis a Palermo. L’idea è quella di instaurare un dialogo fra la scultura quattrocentesca di Francesco Laurana “Ritratto di Eleonora d’Aragona” con un nucleo di ritratti di importanti maestri del Novecento. La data è ancora da stabilire.
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