Se c'è un ambasciatore e testimonial del tango argentino nel mondo è lui, Miguel Angel Zotto, erede diretto dei vecchi milongueri che negli ultimi quarant'anni hanno fatto di quel ballo popolare - nato meticcio e contaminato a Buenos Aires in mezzo a migranti di cinquanta Paesi diversi - un autentico “patrimonio dell'umanità” che si balla, e si ama, in tutto il mondo. Unico e multiforme, tradizionale e sperimentale, popolare e accademico, improvvisato e normato, il tango continua la sua ultracentenaria storia ogni volta che un luogo diviene “milonga”, che una coppia di ballerini si abbraccia e comincia quella danza di seduzione e lotta, di ascolto e contesa, di dialogo e imperio. Un messaggio uguale a se stesso da più d'un secolo, eppure capace di cambiare pelle, di emozionare e sedurre generazioni e culture diverse.
Tutta la ricchezza e la complessità di questa danza, e della cultura che la esprime e continua ad alimentarla, saranno al centro dello spettacolo che andrà in scena stasera (ore 21) e domani (ore 17.30) al Teatro Vittorio Emanuele di Messina, nell'ambito della stagione di Musica e danza, e che è stato fortemente voluto dal direttore artistico Matteo Pappalardo: semplicemente “Zotto Tango”, in un'identificazione totale fra il Maestro e l'arte. In scena con Zotto e la compagna, di danza e di vita, Daiana Guspero, la compagnia di ballo Tango X2 e l'orchestra Tango Sonos. Perché il tango è bellissimo, ma suonato dal vivo (oltre che con il violino, il contrabbasso e il pianoforte, anche con un bandoneón: quel prezioso strumento che respira, il “polmone” di ogni orchestra di tango) è ancora più irresistibile.
Lui, Miguel Angel Zotto, classe '58, da anni porta in giro il tango e la compagnia di cui è fondatore, direttore artistico e leader assoluto. Dello spettacolo in scena a Messina firma anche regia, coreografia e luci, mentre le musiche sono il meglio della tradizione tanguera: da brani immortali eseguiti in tutte le milonghe dagli anni 40 e anche prima (da “Los Mareados” a “Desde el alma”, “da Reliquias porteñas” a “La cumparsita”, che per tradizione chiude tutte le milonghe di qualunque latitudine, e che concluderà lo spettacolo) alle stupefacenti “innovazioni” di Astor Piazzolla (tra cui “Adios Nonino”, “La muerte del angel”, “Libertango”).
Ne parlo con il Maestro in persona, assaporando la sua cadenza castillana, la sua risata franca e la cura con cui spiega la sua arte, parla dei suoi leggendari maestri («mi hanno segnato», dice: Juan Carlos Copes, il mitico “Petroleo” Carlo Estévez, Finito), parla dell'Italia, in cui vive («l'ho sempre sentita come la mia seconda casa»). Dopotutto, il nonno era nato in Basilicata e i Sud del mondo si riconoscono tra loro: «Se vuelve al Sur», sorride Zotto.
Maestro, ma perché ballare il tango, oggi?
«Perché è necessario. L'abbraccio è rispetto, è protezione, è vicinanza. Ci è necessario per vivere. È importante che la gente comunichi, e lo faccia attraverso il corpo».
E le parole «corporal», «comunicazione», «emozione», un po' in italiano un po' in castillano, ricorrono di continuo nei suoi discorsi. Mi spiega: «Io sono un pezzo di storia, quella storia che raccontiamo ballando: voglio raccontare le differenti età, le epoche del tango, e anche la personalità di coppie diverse, di ballerini diversi».
Perché il tango è assieme sociale e personale, intimo e condiviso, ed è quello il suo segreto. E anche il suo potenziale rivoluzionario: una rivoluzione perenne scritta dentro la sua storia. Quella che è al centro dello spettacolo di Zotto, un vero “rivoluzionario tradizionale”: «Ho creato un modo - dice - per incorporare il tango e la sua estetica, la sua tradizione, con il teatro danza». Uno spettacolo nuovo e antico, appunto.
Qual è il suo tango preferito?
«Non posso dire che esiste un tango solo: semmai ci sono orchestre che amo particolarmente. Pugliese, Troilo, per esempio. La ricchezza del tango è anche questa: in ogni momento si trova una musica diversa, un colore diverso». Si sofferma sulla parola «colore», e pare di vederlo: ogni orchestra come una tessitura preziosa, irripetibile.
Cosa apprezza di più, in un ballerino e in una ballerina?
«Apprezzo la stessa cosa in entrambi: che sia tecnicamente buono, ma soprattutto che gli piaccia quel che fa, che lo ami, che lo trasmetta. Altrimenti il movimento è vuoto, non c'è anima, non c'è spirito».
Poi si ferma, e dice lentamente, con la voce delle rivelazioni: «Il tango si sente con l'orecchio, passa per il cuore, arriva ai piedi, e queste tre cose devono stare in connessione. La musica dà l'emozione, e quella bisogna trasmettere. Il tango è l'unica danza che può emozionare a questo livello. E quando ti succede, oh, è meraviglioso».
Lei prova ancora emozione a ballare?
«Quando non proverò più emozione non ballerò più».
E si diverte ancora in milonga?
«Ma a me piace più ballare che mangiare! Mi piace la milonga, la notte, ascoltare, bere vino con la gente che conosco, che ho conosciuto, la gente del tango».
Quella che ieri si è riunita spontaneamente - mai era accaduto - davanti al teatro dove erano in corso le prove, per dare vita a un flash-mob tanguero (e il Maestro si è generosamente affacciato a salutare e accennare un abbraccio) che era puro omaggio, puro amore. Sì, pura emozione.
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