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"Se reinventassimo un'altra Quaresima", la rubrica di Vito Teti

Le bambole di pezza da appendere alle finestre

Carnevale, raffigurato da un fantoccio, veniva bruciato e allontanato dalla comunità. Io, bambino, guardavo con straziante dispiacere un povero mascherato allontanarsi dal paese in groppa all'asino adoperato durante le farse. «Nonna perché va via Carnevale?», e la nonna spiegava che a cacciare il «porco ingordo» era la vecchia e magra Quaresima. Non capivo il senso di questi riti stagionali legati al mondo della terra e della natura, a un tempo che sempre “tornava” per rinnovarsi. Semplicemente detestavo, con tutto il cuore, la Quaresima, schernita anche nelle filastrocche e nei canti di mamma per i digiuni, le erbe selvatiche, le lattughe che portava.

Non è necessario condividere l'impostazione materialistica e deterministica per notare come modelli e valori dietetici delle società tradizionali fossero legati a situazioni concrete. La “fame” per i poveri era una condizione sempre temuta, che incombeva più minacciosa nei mesi invernali. Lo stesso “digiuno”, più che di scelte legate a motivazioni dietetiche o prescrizioni religiose, il cui ruolo nell'orientare i comportamenti non va comunque sottovalutato, appare soprattutto esito di necessità. Andrebbe ripensata una tradizione “vegetariana”, frugale, parsimoniosa presente nel mondo antico, tra i pitagorici, tra i santi italo-greci e nel monachesimo occidentale. Il “digiuno” e l'astinenza da cibi “grassi” erano accompagnati da altre pratiche “penitenziali”, da preghiere e raccoglimento. Insieme si mangiava, insieme si digiunava e si pregava. Mio nonno Vito partecipava ai lunghi e complessi riti religiosi e gli ultimi tre giorni di Quaresima, fino al Sabato Santo, si “metteva” a pane e acqua.

La Pasqua, attesa, vendicava Carnevale e portava ai bambini le belle “collure”, i taralli, le pitte, i dolci a base di uova e farina; ai grandi carne di agnello o capretto, frittate, salsicce e ricotte. Mi accorgevo, felice, che la Pasqua stava arrivando quando dall'arancia posta ai piedi della “pupa” che rappresentava Quaresima veniva staccata l'ultima delle sette penne di gallina, una per ogni settimana dal mercoledì delle Ceneri. Cosa resta di questi rituali di cui sono stato tra gli ultimi testimoni? Nulla.

L'articolo completo sulla Gazzetta del Sud in edicola. 

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