Enrico Brignano a tutto campo: «Non so raccontare le favole a mia figlia parlerò di cose vere»
«Quell'emozione. Le mani che sudano, le ginocchia che tremano, la salivazione azzerata e la lingua felpata... tutti sintomi che indicano l'innamoramento. O la malaria. Dal momento che il medico ha escluso la malattia», allora Enrico Brignano è “Innamorato Perso”. Della sua bambina, della sua donna, della sua città, del mondo, dell'esistenza. Tanto da farci un Tour di venticinque date sold out, che domani passerà per il Palasport di Acireale e chiuderà «con un po' malinconia» a Bari il 18. Due ore di “one man show all'americana”, il taglio ironico su questioni tanto serie da scherzarci su e la compagna Flora Canto sul palco insieme a lui. Più tutto «l'amore corrisposto per il palcoscenico e per il pubblico, che dura da 33 anni (e vari “biglietti d'oro”), è lungo il tempo di uno spettacolo e poi è attesa del futuro». Enrico, più innamorato o invece più perso? (Sorride) «Perso in questo momento. Tra dove mi porterà questo amore e la strada che mi farà fare. Tra i “non so” e i “voglio scoprirlo”, volta per volta» Intanto, piuttosto che portarti il lavoro a casa, hai portato casa al lavoro. «Io e Flora ci siamo conosciuti sul palco, facendo "Tutto suo padre" proprio quando io avevo perso il mio. Lì ci piacemmo, ci stringemmo e continuammo a trasformarci tanto da mettere al mondo una bambina, un piccolo diavoletto che corre per casa, ha un'energia fantastica, è spettacolare. Alla mia età è veramente bellissimo sentirsi chiamare "papà!"» Un altro amore inaspettato… »Sì, non ti dico che ci avevo perso le speranze ma quasi. Arrivare a cinquant'anni senza figli significava adesso o mai più. Poi leggi le biografie dei grandi attori e scopri che, ad esempio, Charlie Chaplin lo ha fatto ad ottanta. C'era tempo forse, ma meglio ora che mi posso ancora sdraiare per terra a giocare» Poi c‘è l'amore antico per Roma città “bucata”... «La mia città. Che tante volte mi porta a difenderla, altre ad odiarla. Perché Roma è una città complicatissima, difficile, piena di violenza, gonfia di gente sbagliata nel posto sbagliato. Della città “caput mundi”, della casa del diritto romano rimane approssimazione e abuso. Roma è una ferita aperta» Ho letto di un nonno siciliano... è vero o fa curriculum? «Io non c'avevo un nonno siciliano… ne avevo due! Gasparino e Maria, nati a Tunisi perché i loro genitori si patteru (da un paesino del siracusano) e chianu chianu sinni ieru in Tunisia. Mio bisnonno nei racconti di mio padre era un muratore fino, un mastro dei mosaici. Erano gli anni '40 e lì, sotto il dominio francese mi diceva portassero i prigionieri italiani. Mia zia ne conobbe uno e per lui venne a Roma. Così finita la guerra arrivò qui anche mio padre, aveva diciott'anni e l'Italia era ancora sfregiata. E così a casa mia si è sempre mangiato un miscuglio di Sicilia e Tunisia e si è sempre parlato siciliano strittu strittu. “Cuomu va? Eh sugnu ca, staiu travagghiannu buttana ra miseria!”: pronto per un episodio di Montalbano (vero!)» Furgoncino di tuo padre: chi ci metteresti dentro e per andare dove? «Questo famigerato furgoncino! Beh, ci metterei la famiglia. Ma l'ho fatto, l'ho fatto... In realtà il furgoncino di mio padre è stato rottamato a suo tempo, quando si bruciò la parte posteriore (che quei furgoni erano soggetti ad autocombustione) e nessuno sapeva che cult sarebbe poi diventato quel Volkswagen. Un giorno scaricai una app, digitai la serie e… pensavo non ce ne fossero più in circolazione e invece ne trovai uno bicolore, targato Roma come quello di mio padre. Una lunga trattativa, un lunghissimo restauro, adesso lo custodisco in garage e lo chiamo FurgonciNino, perché è il furgoncino di mio padre che si chiamava Nino. E mi commuovo (sinceramente, a lungo) perché c'è lui dentro che mi guida» Come farà un papà innamorato a spiegare a sua figlia (femmina) questo tempo di haters? «Hai centrato il tema finale dello spettacolo. Potrei raccontarle un copione di favole, ma non me le ricordo e non le so raccontare, quindi le parlerò di cose vere. Le parlerò di Falcone e Borsellino, papà avrà tempo per parlarle dell'odio e del terrore, di terre martoriate dal dolore, di un paese che esultò con Tardelli nell'82, di due acerrimi nemici di bici che si passarono la borraccia come due fratelli, di un grande Presidente con la pipa, di Alberto Sordi e di Totò, della Dolce Vita prima che diventasse più amara».