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Quei “pezzi” di Reggio che brillano a Vicenza

Originariamente famiglia di mercanti, poi di imprenditori tessili, finalmente nobili accreditati dalla Repubblica di Venezia, anche se con un necessario passaggio attraverso un titolo nobiliare polacco. Si sa, i soldi fanno miracoli in qualsiasi epoca, ma nel caso dei Leoni Montanari una parte assai interessante di quel “miracolo” è arrivato fino a noi attraverso il loro palazzo barocco (costruito alla fine del Seicento, perché la residenza di spicco era necessaria per cambiare il colore del sangue da rosso a blu) che oggi è un vero e proprio museo permanente. Acquisito vent'anni fa da Gallerie d'Italia, il polo museale di Intesa Sanpaolo, ornato da decorazioni pittoriche e a stucco di artisti veneti, realizzati nei vari secoli, celebra la ricorrenza con la mostra “Mito. Dei ed Eroi”.

Curata da Fernando Mazzocca, Federica Giacobello e Agata Keran, aperta fino al 14 luglio, si avvale di decisive collaborazioni scientifiche: quelle di due importanti Musei archeologici nazionali, di Napoli e di Reggio Calabria (chiamato della Magna Grecia), oltre all'apporto dell'Hermitage di San Pietroburgo. Il risultato è un'esposizione che riesce davvero a far dialogare il palazzo con le opere in mostra, che sono non solo del periodo di riferimento dei miti greci e romani ma anche del neoclassicismo ottocentesco (Pompeo Batoni e Francesco Hayez, fra gli altri) e, ancor prima, del classicismo grazie all'eccezionale presenza del dipinto “Mecenate presenta le Arti liberali ad Augusto” di Giovan Battista Tiepolo.

Così per accompagnare la megalomane (ma al tempo necessaria) autostima dei padroni di casa, che si sentivano in consonanza soprattutto con Apollo ed Ercole ma anche con Atena, Alessandro Magno, Ercole, Achille ed Enea (mai fare economia nei paragoni), i curatori mettono in luce «la fortuna della tematica mitologica nei secoli». Anche se fa un po' impressione vedere che Apollo, così “coccolato” dai Leoni Montanari, viene raffigurato in episodi di estrema crudeltà (pur ammantati di giustizia), come le vendette contro Niobe e contro il fauno Tarsia. D'altra parte il mito - e le tragedie greche che lo raccontano - non fa sconti sugli orrori archetipici. Da un punto di vista spettacolare, sono le grandi sculture a colpire per le loro forme e anche per il loro significato celebrativo, ampliato dalle proporzioni.

Per esempio, la Statua di Apollo di fattura romana (I secolo d.C.), la Testa di Apollo (II secolo d.C.), il Fronte di sarcofago con strage dei Niobidi (150-170 d.C.), Ercole Farnese (marmo greco, II secolo d.C.), la Testa di Minerva (II secolo d.C.) e la monumentale Statua di Atena (marmo, alta 224 cm, inizio I secolo d.C.), capace, già da sola, di portare indietro nel tempo.

Ma è chiaro che il continuo rimbalzare dall'antichità all'epoca moderna crea un gioco di rimandi, che riesce sempre a tenere desta l'attenzione: si passa così da alcuni esempi degli affascinanti affreschi di Pompei, provenienti da Napoli, e dei vasi in terracotta con figure dipinte, alle tele e ai gruppi in bronzo dorato del XVIII e XIX secolo, come “Il carro di Apollo” e quello raffigurante l' “Aurora” di Guido Reni.

Nelle misure piccole colpisce e attrae il minuscolo Sigillo di Nerone, un intaglio in corniola color rosso sangue, datato tra la fine del I secolo a.C e l'inizio del successivo. Una parola in più meritano i quattro bellissimi pezzi provenienti dal Museo di Reggio Calabria, tutti di piccole dimensioni ma di valore assoluto. Il primo è “Arula con duello di Achille e Memnone”. Ritrovata nel santuario di Persefone alla Mannella, territorio di Locri, è una terracotta che risale addirittura al VI secolo a. C. L'opera è particolarmente attenta al dettaglio anatomico dei due combattenti, che sono ritratti quasi a tutto tondo.

Il secondo, purtroppo incompleto, è un'altra terracotta, la statuetta di Atena Promachos (cioè che combatte in prima linea, riferimento a una grande statua di Fidia), datato nel V secolo a.C., proveniente dall'area sacra di Medma in contrada Calderazzo. La dea, infatti, è rappresentata nel momento in cui scaglia una lancia.

Il terzo pezzo, ancora in terracotta, è un'altra statuetta di Atena, della prima età ellenistica (che si fa cominciare dalla morte di Alessandro Magno, nel 323 a.C.), ritrovata nell'area sacra di località Grotta Caruso, a Locri. Sempre in armi, la dea appare pronta a celebrare un sacrificio.

Infine, vero pezzo forte della mostra vicentina, da Reggio è giunta la statuetta di Apollo in lamina d'oro. Alta poco più di sei centimetri, si vede comunque da lontano per la sua incredibile grazia e per la sua preziosità. Ritrovata nel santuario di Apollo a Punta Alice di Cirò Marina e risalente al IV secolo a.C., raffigura il dio mentre offre una libagione. Caratteristica è la definizione accurata del volto. Le quattro opere sono illustrate in catalogo nell'ordine da Daniela Costanzo, Maurizio Cannatà (due) e Carmelo Malacrino, tutti archeologi (e l'ultimo direttore) del Museo della Magna Grecia. Lo stesso splendido museo di cui si continua a dire che è importante solo perché ci sono i Bronzi di Riace! Niente di più fuorviante: è pieno di tesori dell'archeologia, tanto che quando presta quattro pezzi contribuisce in modo determinante a rendere importante una mostra.

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