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"Le Troiane" di Euripide a Siracusa, la forza delle sconfitte che vincono la guerra

Il debutto a Siracusa

I vinti, uomini o alberi. Creature, unite sulla scena de “Le Troiane” di Euripide, per la regia della francese Muriel Mayette-Holtz, secondo degli spettacoli del 55° Festival del Teatro Greco dell'Inda che si è aperto venerdì con un bellissimo allestimento dell' “Elena” di Euripide per la regia di Davide Livermore. Il “Bosco morto” di Stefano Boeri - costruito drizzando i tronchi morti nella devastazione dei boschi friulani dello scorso anno - è controcanto della scena del giorno prima, immersa nell'acqua, e, con la sua sintassi di desolazione, limita e definisce lo spazio in cui si muovono, coperte di polvere, le Troiane, folla di sconfitte in attesa di conoscere il loro destino di schiave deportate al servizio dei Greci vincitori.

La scena si apre con schianti ed esplosioni: è il rumore della guerra, l'eco della paura che domina ancora. Ogni paesaggio di distruzione si assomiglia, e ogni paesaggio di distruzione ci ricorda che nessuno è mai vincitore di una guerra: i Greci hanno sulle vesti la stessa polvere delle Troiane sconfitte.

È Ecuba (un'energica Maddalena Crippa) il filo conduttore, la regina di nessun regno, la matriarca delle matriarche, che riassume su di sé la tragedia di tutte le altre, di Cassandra la folle (Marial Bajma Riva), di Andromaca (Elena Arvigo, che ha una scena di tenerezza e dramma col piccolo Astianatte, condannato a morte dai vincitori e trascinato via). È lei che sostiene con Elena (Viola Graziosi) davanti a un Menelao visibilmente di parte (Graziano Piazza) una sorta di confronto giudiziario, un confronto di ragioni e azioni che, infine, lascia indenne la vituperata Elena, la colpevole per antonomasia, secondo. È lei che compone il corpo del piccolo sacrificato (Riccardo Scalia) nello scudo del padre, in una scena di vivida emozione. Impianto molto tradizionale, con recitativi ben separati dai momenti corali, vere e proprie canzoni che il coro, molto compatto nei movimenti ma un po' inerte, canta con l'accompagnamento della chitarrista Fiammetta Poidomani.

Il coro è foltissimo, tutte donne e vinte con un solo cuore (corifea Clara Galante; capo coro: Elena Polic Greco; capo coro di vecchie: Doriana La Fauci; coro di vecchie: Maria Baio, Maria Gabriella Biondini, Cettina Bongiovanni,Carmen Cappuccio, Irene Di Maria Di Alleri, Lucia Imprescia, Rosamaria Liistro, Giusy Lisi, Maria Verdi, e poi le 33 allieve dell'Accademia d'arte del dramma antico, sezione Giusto Monaco). Paolo Rossi è un Taltibio sui generis, dichiaratamente antitragico nell'eloquio e nelle movenze.

Il “Bosco morto” contiene in sé il germe della speranza, della rinascita: i tronchi diventeranno arredo di uno spazio pubblico, e piantine nuove saranno distribuite agli spettatori. Così come, nella lettura della regista, le donne, seppure vinte, sono sempre depositarie di futuro, artefici di rinascita. Mentre Troia brucia (coi fuochi suggestivamente accesi alle spalle del bosco) s' incammineranno verso le navi dei vincitori, ma non più nei panni di vinte coperte di polvere: in rosso, con un canto di vita e di speranza. La guerra si può vincere, si può sconfiggere, se la vita continua.

 

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