Tutto in quel «mi piace piacere».
La sostanza. Il testo appassionato a modo suo, una scrittura esplicita, la melodia che scala note sensazionali, in una scena musicale nella quale senza l'autotune il re è nudo. Gli occhi chiari ed un'età di mezzo che attrae la curiosità dei giovani e stimola la nostalgia dei più grandi.
L'evidenza. Alberto Urso è innanzitutto un cantante che sa cantare. Ovvio? Raro. Che ha studiato si sente, tanto nell'impostazione quanto nella qualità della sua voce. Ha 21 anni. La struttura, il falsetto, il graffio, la sabbia, l'estensione verso l'alto, la profondità dei toni bassi, il controllo della bocca e il sostegno del respiro. La tecnica lirica da conservatorio (complessità da pianista, “solismo” da sassofonista, tempo da batterista) e quel fascino innato del… sto qui per caso (talvolta stereotipato, comunque parecchio apprezzato).
Le contingenze. Certo, il repertorio classico è uno straordinario paracadute. E certo pure che le praterie di pubblico della tv, sconfinate rispetto alle nicchie classiche (decisamente più striminzite e settoriali), hanno bypassato la complicata gavetta del lirico che in teatro ci arriva quando è già fatto, mentre dai club difficile passarci per via dei volumi non proprio adatti.
Le somiglianze. Come d'altronde è successo a Il Volo. Alberto non è nemmeno il primo del genere che passa da Amici (nel 2010, Matteo Macchioni aveva tentato la strada per poi dedicarsi tutto alla lirica). Anche Lorenzo Licitra ad X Factor aveva “temporaneamente” vinto sul rock dei Maneskin super favoriti. Stessa sorte (per estensione e con le dovute differenze) di Andrea Bocelli a Sanremo. Storie di inizi affini (e tutte di maschi, chissà perché).
Le conseguenze. Tant'è che “Solo”, il suo disco d'esordio (Universal), è quarto dietro Izi, Capossela e Ultimo. In classifica Fimi come nel talent, ha battuto rapper e trapper, sia al televoto che tra i prof. Segni (retorici, è vero) che quando il bel canto chiama, l'animo italico risponde… in tutto il mondo. E anche se l'intellighenzia snobba, se le radio non passano (forse è per questo che l'album si posiziona meglio dei tre singoli fin qui estratti), c'è evidentemente un pubblico diffuso che impazzisce per gli acuti e perdona le mancanze. Di ragazzi “educati” e genitori soddisfatti, generazioni diverse che possono sentire la stessa musica e andare allo stesso concerto. Chi ha i soldi per pagare e chi orecchie nuove per ascoltare. Chi ama il lirico che frequenta il pop e chi adora un cantante leggero con punte classiche. Per quanto sui benefici a lungo termine del crossover, sulla prevalenza, tra il particolare e il trasversale, tra la musica cantata bene e la bella musica, si giochi prima o poi la partita della personalità.
Le sentenze. Il giorno dopo la vittoria si spazia dall'anatema legittimo di quelli che «discograficamente è ancora tutto da dimostrare», in più se sei interprete dipendi da chi ti scrive le canzoni. A chi già scommette che Alberto Urso da Messina l'Ariston lo farebbe tremare. Dal «non basta un arrangiamento orchestrale perché sia lirica» alla curiosità di capire che succederebbe alle biglietterie dei teatri se l'Opera andasse in onda in prima serata su Canale 5 (magari in formato talent). Sicuro fuori da Amici ci sono le scelte. Quelle che garantiscono la sopravvivenza e quelle che dovranno tradurre in live un discorso scritto benissimo. E, intanto che «non so ancora cosa farò ma mi piacerebbe provare tutto», la voce è già un'intenzione.
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