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Ciò che vedi al confine tra umano e disumano, intervista alla scrittrice Stancanelli

Elena Stancanelli

Ad oggi, sono già 508 i morti nel Mar Mediterraneo registrati nel 2019. Sono dati ufficiali, forniti dall'Organizzazione Mondiale della Migrazione. «Tutto ciò dimostra che nonostante gli slogan elettorali, gli sbarchi continuano. Ma allora perché noi continuiamo a voltare lo sguardo dall'altra parte? Ostacolare le Ong è un gesto gesto violento, consapevole e crudele».

Rispondendo concretamente all'appello dello scrittore Sandro Veronesi, Elena Stancanelli ha scelto di imbarcarsi sulle navi delle Ong, «donne e uomini che meriterebbero il Nobel per la pace e invece vengono accusati di ogni nefandezza possibile».

Da questa esperienza è nato il libro “Venne alla spiaggia un assassino” (La Nave di Teseo) che l'autrice presenterà nella sua Firenze, alla seconda edizione del festival “La Città dei Lettori”, in programma dal 7 al 9 giugno. E fra le pagine di questo libro «di relazioni che è un omaggio ad Alessandro Leogrande», Elena Stancanelli, già finalista al Premio Strega con “La femmina nuda” nel 2016, mette in atto la propria idea di scrittura - che la accomuna ad Anna Maria Ortese - «nella ferma intenzione di andare alla ricerca della verità».

Perché questo libro?

«Tutto comincia con la pubblicazione dell'articolo di Sandro Veronesi, su Il Corriere della Sera nell'estate del 2018. È stata una chiamata rivolta a tutti gli intellettuali, mettiamo i nostri corpi sulle barche, raccontiamo ciò che accade in mezzo al mare, celato agli occhi dell'opinione pubblica».

Ovvero?

«C'è una frontiera. Si ha a che fare con la vita e la morte, ci sono persone che annegano e noi stiamo impedendo di operare a chi lavora per salvargli la vita. Credo che il Mediterraneo sia un luogo di mistero: se nessuno lo racconta, se nessuno si spinge in mezzo al mare, tutto ciò che vi accade sarà facilmente occultabile. E non possiamo permetterlo».

Nel libro c'è una lista: «cose che ho imparato sulla barca».

«Nasce dalla posizione rispetto a questo libro, non da attivista ma da scrittore, un po' goffa e alla ricerca di un equilibrio. E così facendo ho scoperto anche piccole cose su me stessa, ad esempio che sono fortissima a scopone e che di notte, nel Mediterraneo, si gioca alla guerra».

Il tema della frontiera richiama subito alla memoria il lavoro di Alessandro Leogrande.

«Quando ho iniziato a scriverlo, ho pensato che mi sarebbe piaciuto poterglielo raccontare. Adesso che non c'è più, vorrei proprio che fosse un omaggio, strano e bizzarro, proprio ad Alessandro e al suo lavoro».

Le navi delle Ong nel Mediterraneo servono a riparare alla nostra ignavia?

«Le navi delle Ong suppliscono alle nostre carenze tecniche ma soprattutto morali, si prendono la responsabilità di compiere qualcosa che è necessario fare. Ostacolarle è un gesto violento, consapevole e crudele».

Ma a chi fa comodo questa lotta, questa operazione di disinformazione?

«Non voglio azzardare analisi delle urne. Certo, le elezioni europee in Italia hanno premiato la Lega e ricollegarlo alle politiche messe in atto non è difficile. Sta di fatto che la guerra alle Ong non funziona, ciò che si racconta non è vero, gli sbarchi stanno avvenendo comunque, la migrazione non si può fermare ma i morti in mare aumentano. Gli slogan non servono a null'altro che ad aizzare gli elettori».

Fra le pagine, lei enuncia i numeri dei morti nel Mediterraneo. Numeri che raccontano una catastrofe.

«Purtroppo, tutto ciò accade lontano dal nostro sguardo. Ogni tanto riusciamo a recuperare delle immagini che diventano testimonianza, come il barcone affondato a Lampedusa o il corpo del bambino sulla spiaggia di Bodrum. Ma non è abbastanza, per questo ho sentito il bisogno di andare a raccontare. Non è vero che non sappiamo, piuttosto dobbiamo smetterla di voltare lo sguardo dall'altra parte».

E dal punto di vista pratico, cosa propone? 

«Non sarà semplice risolvere la questione della gestione delle migrazioni, servirà un lavoro politico ma nel frattempo non possiamo ostacolare le persone che fanno salvataggio in mare. Bisogna dirlo con chiarezza».

«Scrivere è fraintendere». Questa è la sua definizione della scrittura, ma cosa intende?

«Se la realtà non esiste, uno scrittore dovrebbe andare alla ricerca della verità anche a costo di fraintendere, scegliere quale sia la via da seguire. Più a fondo andiamo, più siamo disposti a far pace con tutti gli spigoli e ad attraversare gli angoli, più sarà in grado di pronunciare una parola minuscola ma vera, rispetto a ciò che accade. Scrivere è prendere il proprio sguardo miope e concentrarlo sinché non riesce a mettere a fuoco l'immagine più vicina possibile a quella che si ritiene essere la verità».

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